De Luca distrugge la scuola campana. Noi di Forza Italia abbiamo documentato date, cifre e fatti.






De Luca distrugge la scuola campana. Noi di Forza Italia abbiamo documentato date, cifre e fatti.
Questa è una storia di reiterata follia e cinismo. Senza dubbio spostarsi su di una sedia a rotelle per le strade delle nostre città può risultare meno “gradevole” del muoversi a bordo di una golf car su di un bel prato all’inglese. Anche per questo, secondo voi, per che cosa le Istituzioni dovrebbero spendere di più? Non ci sarebbe neppure da pensarci su.
Invece no. Per il il golf 97 milioni di euro, per i disabili solo 75. Anzi. Si fa di peggio. I soldi del Fondo dei disabili sono erogati in modo squilibrato, ovviamente a danno del Sud. E, quando ci si prova a riequilibrare le cose, il Pd si schiera contro e il M5s si astiene, per un ordine di scuderia, partito forse senza neppure sapere esattamente cosa stavano votando.
È accaduto l’ultima volta l’8 febbraio. I parlamentari del PD, all’unanimità, hanno respinto un emendamento di Mara Carfagna, deputato di Forza Italia, e degli altri deputati del centrodestra, che aveva proposto una distribuzione delle risorse del Fondo per le non auto-sufficienze maggiormente equilibrata e solidale e in particolare di aumentare quelle per il trasporto e l’assistenza scolastica dei ragazzi disabili, senza neppure chiedere di variare la spesa complessiva.
Per giunta, gli attuali criteri di riparto del Fondo prevedono che il 60% delle somme venga assegnato ai Comuni considerando la spesa storica da loro sostenuta per questa “voce” nell’anno precedente, mentre soltanto il restante 40% viene distribuito tenendo conto del numero dei disabili residenti nel vari territori.
Dietro questa apparente logica matematica si consuma una profonda ingiustizia ai danni del Sud. Infatti, i Comuni del Mezzogiorno sono notoriamente privi di fondi da molti anni e quindi spendono molto meno anche per i disabili. E così, attribuendo ogni anno il 60% delle somme disponibili a chi ha speso di più l’anno precedente, il solco si allarga sempre di più. Cioè, chi ha già di meno riceve di meno e può fare ogni anno sempre di meno.
Questa storia per dire cosa? Lasciamo perdere i proclami, i blog, le conferenze stampa con i cartelloni pieni di cifre e di promesse e guardiamo ai fatti. E i fatti sono anche questi. Un esempio, forse banale, per spiegare come noi stiamo intendendo la politica in questo difficile momento, come stiamo agendo per il Sud, per le nostre comunità, per la nostra gente, per una maggiore consapevolezza nelle scelte.
E quello che invece accade spesso, per cinismo o incompetenza.
#LeParoleEiFatti
Come ogni giorno, siamo nel sottopassaggio della stazione “Museo” della Linea 1 della Metropolitana di Napoli. La stazione è attraversata quotidianamente da migliaia di passeggeri. Oltre alla “tradizionale” carenza di treni che comporta attese finanche oltre i 14 minuti, ciò che preoccupa maggiormente sono gli evidenti danni di natura strutturale e tecnica, che mettono a rischio la sicurezza dei passeggeri. Un esempio? Obliteratrici e tornelli fuori uso da mesi (impossibilità nell’obliterare il titolo di viaggio) con conseguente evasione.
Ancora? Sicurezza zero! Pur in presenza di telecamere, il gabbiotto con i vari schermi che riflettono le immagini è sempre impresenziato, completamente abbandonato a se stesso, così da rendere impossibile in caso di pericolo l’intervento risolutore di un addetto.
Pensate sia finita? Magari… altra pecca è la manutenzione. Per i passeggeri conta poco se la loro stazione “Toledo” sia stata definita dai media: “La più bella d’Europa”. Quando poi ce ne sono altre, nella fattispecie la stazione “Museo”, in cui si assiste a gocciolamenti d’acqua dalle tabelle elettroniche che allertano i passeggeri delle diverse misure di sicurezza.
La pagina “Discutiamone #Insieme” denuncia tali carenze, con l’auspicio di immediati interventi e controlli, che garantiscano un servizio più dignitoso e sicuro.
Egr. Prof. Severino Nappi
Mi chiamo Bruno e sono uno di quei disoccupati che ha incontrato durante il suo mandato in Regione Campania. Mi rivolgo a Lei perché, mentre ormai risulta evidente l’impossibilità di un dialogo “diretto” con le istituzioni, qualcosa è cambiato di nuovo e io e i miei ex-colleghi, non essendo inseriti in gruppi organizzati né in bacini di utenza privilegiati, ma essendo dei semplici disoccupati di lungo periodo, ci ritroviamo di nuovo in balìa di quel ricatto che fa leva sul nostro disagio principale: la DISOCCUPAZIONE. La nostra DISOCCUPAZIONE, per l’appunto, sembra essere sempre di più interpretata come una merce che, per alcuni, è diventato opportuno e conveniente coltivare e alimentare. Nel tentativo di trovare una qualsiasi soluzione, abbiamo da poco aderito a quel programma che voi chiamavate “Ritorno al lavoro”, oggi rinominato “Ricollocami”, e ci troviamo a riconoscere che le aspettative che potenzialmente poteva suscitare sono andate scemando sempre di più.
La lettura del “Piano di gestione attuativa”, pubblicato sul BURC, evidenzia da subito una marcata attenzione verso gli strumenti che si rappresenta essere deputati all’accompagnamento, alla ricollocazione e alla necessità di potenziare/finanziare questi ultimi – nel caso di specie i centri per l’impiego – qualcuno di noi ha immediatamente pensato che l’obiettivo fosse da ricercare in un unico termine: appalti.
Quella che per noi appariva come una “complessa strutturazione di frasi”, ci ha illustrato solo la necessità di rafforzare gli investimenti diretti alle tasche delle strutture pubbliche e private coinvolte e alla necessità di giustificare nuove assunzioni nei centri per l’impiego. Di effettiva volontà di cercare strategie concretamente indirizzate a ricollocarCi: NIENTE!!! Non curando chi di noi riteneva che gli eventuali BANDI potessero essere “cuciti addosso ad alcuni”, abbiamo cominciato a monitorare le pubblicazioni ufficiali con speranza fino a quando le nostre aspettative si sono esaurite per l’inutilità della ricerca. Per dirne una: sul BURC abbiamo trovato la “Approvazione Avviso per Manifestazione di interesse partecipazione a Percorsi formativi per Tecnico di accompagnamento alla individuazione e messa in trasparenza delle competenze e Tecnico della pianificazione e realizzazione di attività valutative”. Per noi, nulla di nuovo: la manifestazione di interesse per i “Percorsi Formativi” sembra essere destinata solo a chi può dimostrare di essere già “formato” (con esperienza di 5 anni negli ultimi dieci anni). Le cifre ammesse sembrano riportare fedelmente quelle proposte dal “Piano di gestione”. Qualcuno ha pensato che fosse un modo per “sistemare” nel pubblico qualche affiliato a qualche sindacato, visto l’intimo legame di questi con le APL, e garantirsi quindi una sostanziosa merce di scambio sotto campagna elettorale oltre a una maggiore possibilità di controllo e gestione del fenomeno DISOCCUPAZIONE… saranno dei semplici malpensanti?
Abbiamo in ogni caso tentato di trovare una qualche utilità nelle altre misure adottate e, come ormai da consuetudine, l’unica utilità che ne abbiamo riscontrato è la materializzazione del ricatto anche morale al quale ormai, viste le necessità, dobbiamo sottostare: i soldi, seppur pochi meglio che niente, a fine corsi. Nel giugno dell’anno, su “Il Velino.it”, il neo-governatore (ri)presentava Garanzia Giovani come fosse una novità. Mi chiedevo ironicamente dove fosse stato fino ad allora visto Garanzia Giovani era partito già da qualche tempo. Tra quelle che rappresentava come “le novità” De Luca ripresentò anche Garanzia Over. La cosa mi ridiede la speranza di immaginare almeno la possibilità di poterci proporre e di dimostrare al mondo del lavoro, quello vero, che eravamo ancora validi. Apprezzai tantissimo quel “non ci sarà bisogno di alcun mediatore politico.” A fatti, invece, le candidature per le offerte di lavoro possono essere operate solo dai CPI e dalle APL!!! È mancata quindi quella che lo stesso De Luca ha definito essere la liberazione “delle politiche sociali da clientele politiche”, che invece a fatti hanno assunto più precisamente la forma di “clientele sindacali”. I CPI sembra non leggano neanche i cv della “merce” trattata perché, a dire dei funzionari di uno di questi, hanno avuto disposizione di favorire prima “i soliti violenti”. Le APL, per ciò che concerne le candidature a Garanzia Over, ne sembrano addirittura terrorizzate!!! Garanzia Over sembra essere un potenziale limite alla quantità di “merce” da poter utilizzare per giustificare e alimentare il business di una formazione fine a sé stessa (i corsi retribuiti).
Senza perderci di coraggio abbiamo allora indirizzato la nostra attenzione sul discorso Voucher monitorando i bandi delle Amministrazioni Locali. Ogni offerta sembra destinata ai soliti gruppi di disoccupati violenti, sindacalizzati e quindi privilegiati: le offerte pubblicate dai bandi, non ultima quella del Comune di Napoli, a differenza di quanto descritto dal regolamento, relegano l’accesso alla misura ai soli residenti e probabilmente, come dice Attilio, mio “collega disoccupato”, il motivo sta nel fatto che, chi non è residente, non può votare alle elezioni amministrative (altra forma di mercificazione?).
L’utilizzo di una formazione da utilizzare come sostituta di uno sterile e gratuito assistenzialismo risulta essere gradita ai più di questi gruppi organizzati (spesso esercenti di attività del mercato nero) a discapito nostro e di chi come noi vorrebbe la possibilità di immaginare una società dove il riconoscimento dei diritti non debba passare dalla manifestazione di azioni violente o in ogni caso illegali. A nome mio e dei miei ex colleghi nel lavoro e gli attuali nella disoccupazione, vista la cecità e l’irresponsabilità dell’attuale amministrazione regionale, Le chiedo di interessarsi ancora a noi come già fatto in precedenza e di individuare, se Le è possibile, delle eventuali soluzioni/strategie finalizzate alla cura e non alla gestione strumentale del nostro male.
Bruno il disoccupato e i suoi amici… disoccupati.
Due questioni, apparentemente distinte e distanti, dimostrano uno dei tanti sbagli che compie questo Paese. Mi spiego. Secondo me, i bambini vanno vaccinati. Mia moglie ed io abbiamo scelto di farlo con nostra figlia. Un’altra cosa. Ci sono ancora troppe poche donne in politica, come nei ruoli apicali pubblici e privati del mondo del lavoro. Per questo io, nel mio piccolo, ho deciso, come tanti, di dare il mio “contributo” a questa battaglia di civiltà, scegliendo spesso di lavorare con donne. Detto questo, veniamo al punto, che è lo stesso, nonostante sembrino appunto due temi distinti e distanti: di fronte a questioni che dovrebbero essere affrontate con il principio della libera scelta, questo Paese decide sempre di rifugiarsi in una legge che le risolva, “liberandoci” dal peso di dover scegliere, di dover decidere.
E così ci troviamo una legge assurda che ci impone le “quote rosa” in qualsiasi consultazione elettorale, quasi ad incombere come una minaccia. Ma perché le donne, molto spesso e su molti temi, più brave, sensibili e preparate degli uomini, devono avere una specie di riserva indiana che al tempo stesso non le preserva dal rischio di partecipare come semplici riempilista? Al tempo stesso, perché in Italia non siamo in grado di capire da soli che ci sono condizioni e ambienti in cui noi, i nostri figli, i nostri anziani genitori, possono contrarre malattie debellabili con un semplice vaccino e dobbiamo anche qui arrivare alle imposizioni? Ci riempiamo la bocca della parola democrazia, contestiamo le imposizioni di qualsiasi genere, ma nei fatti, quando queste arrivano davvero e limitano la nostra libertà di scelta, chiniamo la testa o ce la caviamo gridando allo scandalo. Senza mai ricordarci che uno strumento per evitare imposizioni lo abbiamo dentro di noi: il libero arbitrio e il buonsenso. Che serve proprio a impedire che strafottenza e cattive condotte da parte di molti, impongano regole che costringano tutti in camice di forza…
La non-sensibilità mostrata durante gli ultimi quattro governi nei confronti degli italiani sembra più volte aver varcato i confini dell’assurdo. Se i giovani senza lavoro si sono sentiti chiamare “choosy” nel lontano 2012 da una ministra del lavoro, la evidente “deficienza di consapevolezza, coscienza e rispetto delle persone” ha raggiunto la sua massima espressione nelle ormai abituali e spietate soluzioni proposte dal gran numero di piddini e similari al potere.
Se la Fornero aveva pensato di risolvere il problema della disoccupazione giovanile invitando i nostri ragazzi a emigrare, il “presente stressato” e con poche prospettive delle coppie che non riescono a mettere su famiglia e a realizzarsi per la evidente mancanza di lavoro/stabilità ha subìto un ulteriore fattore di sfiducia nel futuro e nelle istituzioni quando, come uscita dal Mulino Bianco, la ministra Lorenzin ha pensato di organizzare nientedimeno che il “fertility day”.
Ora, come struzzi che affondano la testa nella sabbia del deserto delle loro idee, gli esponenti del PD stanno sistematicamente dissacrando la pesantezza delle questioni attraverso affermazioni/soluzioni che, nel tempo e in vari modi, sono riuscite a toccare la dignità di tutte le altre categorie di cittadini.
Tra le “produzioni” più riuscite non si può non ricordare, e con sarcastico sorriso, la bizzarra percezione che la Boldrini aveva dei bambini di Cascia durante la sua visita in Umbria al campo dei terremotati… hem, testualmente: “adesso siete come in vacanza!!!”. Per non parlare del poco cortese invito ai giovani da parte del Ministro Poletti (Ministro del lavoro, eh!), ad andare e restare all’estero!!!
Insomma, finendo per imitare lo spirito di quella regina francese, Maria Antonietta d’Austria, che alle rimostranze del popolo affamato per la mancanza di pane aveva risposto consigliando di mangiare brioches, qualche esponente PD ha pensato di risolvere una grave emergenza ospedaliera (affollamento nei pronto-soccorso), invitando gli operatori a non accettare pazienti (sì, avete capito bene, rimandare la gente malata a casa) se i posti letto fossero esauriti. Come avete capito, parlo del nostro attuale governatore, De Luca. E cioè lo stesso signore che, sommerso dalle grida dei cittadini sdegnati dal fatto che volesse licenziare i medici dell’ospedale di Nola colpevoli di aver lavorato troppo, ha cercato di correggere il tiro proponendo in sostanza di premiarli…
Tra disoccupati, terremotati, giovani “potenziali famiglie” in difficoltà economica, non potevano mancare gli anziani.
Quest’altra “brioches” è stata sfornata dal deputato PD Morani per gli anziani in difficoltà economica. Durante una puntata del programma tv “Quinta Colonna” ha dichiarato testualmente: “Esiste uno strumento che conosciamo poco, che è fatto apposta per gli anziani proprietari di casa che percepiscono pensioni basse, che si chiama prestito vitalizio ipotecario”.
Nel confuso tentativo di comprendere se si tratti di pura satira o di semplice incapacità nel cercare e trovare soluzioni adeguate, credo sia arrivato da tempo il momento di invitare gli amici del PD a una lunga e sentita riflessione: avete mai pensato che forse non è il pozzo a essere profondo ma la vostra corda a essere corta?
Ieri sera in una delle trasmissioni sportive settimanali si è parlato della standing ovation per Totti al Santiago Bernabeu. Io, sempre attento ai particolari e alle sfumarture, non mi sono soffermato sul bellissimo ed emozionante gesto, sul quale non si discute nemmeno. Piuttosto ho sentito una cosa che mi ha dato davvero la pelle d’oca: il tifoso in tribuna, lo spettatore, vive esattamente le stesse emozioni del campione in campo. E l’unico contesto nel quale queste emozioni diventano trasmissibili e si tramutano in empatia è proprio lo sport. E per un attimo mi sono spogliato dagli abiti dello spettatore, e ho vestito quelli del tifoso del Napoli. Componente di una tifoseria tra le più appassionate del mondo. Sono anni che da noi questa empatia si crea in maniera naturale. Sono anni che, in alcuni casi, dobbiamo addirittura giustificare la nostra simbiosi con la squadra e con i ragazzi.
E’ stato ai tempi di Maradona, quando ero un fedelissimo abbonato, che ho vissuto per la prima volta questa empatia. La capacità della squadra di condizionarti anche l’umore di tutta la settimana, e menomale che a quei tempi era quasi sempre positivo. Fino ai giorni nostri. La generazione di mia figlia sta avendo la fortuna di rivivere quei successi, quelle stesse emozioni. E’ il Napoli di Higuain, il Napoli di Reina, è il Napoli che si sta giocando lo scudetto con l’onnipresente Juve, e secondo me lotterà fino alla fine per avere la meglio. Ed è il Napoli dell’empatia, dell’abbraccio con la città. E’ il Napoli di Maurizio Sarri che con la sua umiltà e con la sua semplicità sta rappresentando tutta la gente comune della nostra città, il sogno europeo del figlio dell’operaio dell’Italsider che torna a Napoli da condottiero. E’ il Napoli dei nostri ragazzi che, ogni fine partita, corrono sotto le curve e si stringono ai loro appassionatissimi tifosi in un unico coro. E’ il Napoli di “Un giorno all’improvviso mi innamorai di te”. Perché ognuno di noi ha la sua personale standing ovation del Santiago Bernabeu nel cuore. E questa è la nostra. Un giorno. All’improvviso.
“Una cosa sono gli avvisi di garanzia, altro i viaggi pagati dagli imprenditori, la corruzione, le bustarelle”. È quello che mi è venuto in mente leggendo Vincenzo De Luca dichiarare che il “fare” dei politici è frenato dalla paura di inchieste giudiziarie. Dietro queste parole si nasconde il tentativo di allontanare la verità, mistificando le questioni. Siamo tutti stufi di una burocrazia asfissiante e di sicuro sconcerta che tante inchieste giudiziarie, magari accompagnate dal fragore di manette, scolorino nel nulla. Però queste considerazioni non possono essere utilizzate in forma assolutoria degli imbrogli e della corruttela che accompagna tanta gestione della cosa pubblica, a tutti i livelli.
De Luca, sommerso da guai giudiziari, indossa la maschera del politico ruspante che governa con concretezza e perciò incappa in occhiuti formalismi, quelli che descrive come “avvisi di garanzia”. Invece, grazie ad un sistema dell’informazione superficiale quando non condiscendente, cerca di sfuggire a quello che le carte dicono. Dietro la gestione del reuccio salernitano ci sono sempre gli stessi ingredienti che poco hanno a che vedere con la concretezza paesana e molto invece con gli affari. Un clan perennemente interessato – ormai sono una decina le inchieste – a seguire appalti pubblici, a concludere contratti e a parlare, con gli stessi imprenditori cui concede appalti, di voti e di tessere per garantire elezioni e quindi altro potere. E sullo sfondo soldi, tanti soldi, viaggi, alberghi pagati, ecc: insomma, il peggio della prima repubblica, dalle cui ceneri, del resto, è nata a Salerno l’esperienza deluchiana.
Nel frattempo la Campania è immobile. Ad un passo dal termine del primo anno della sua amministrazione De Luca non ha realizzato nulla dei mille proclami. Continua a spostare l’asticella, promettendone sempre nuove cose, buone per i titoloni dei giornali, ma – fateci caso – di ciò che già doveva aver fatto non si sa nulla. Cito alla rinfusa. Qualcuno ha più saputo nulla della sburocratizzazione dell’amministrazione proclamata ad ottobre scorso? E degli autobus gratis agli studenti? Sta fregando persino quei disoccupati organizzati cui aveva promesso un sussidio e che infatti rumoreggiano sotto Santa Lucia. Intanto, centinaia di nomine e di consulenze, le auto blu sono ricomparse, De Mita ha avuto il suo assessore, la sede romana della Regione Campania ha infoltito i suoi numeri e quella di Bruxelles ha riacceso le luci… Potrei continuare ma basta così. Direbbe Renzo Arbore: “Meditate gente, meditate…”
La stima preliminare del Pil pubblicata oggi dall’Istat mostra ancora numeri da prefisso telefonico per l’Italia. Nessun ottimistico pronostico previsto dal Governo è stato dunque rispettato.
La crescita del prodotto interno lordo in Italia rallenta bruscamente nel terzo trimestre, e segna una crescita misera del +0.2%. Mentre Francia e Germania volano con un incremento del +0,3% il nostro Paese si conferma essere fanalino di coda in Europa.
Spesso dimentichiamo che la vista, pur essendo uno dei sensi più importanti, può fuorviare; che agli occhi possono essere mostrate cose diverse da come sono in realtà; che l’apparenza inganna. Se, ad esempio, su un muro bianco è presente una grossa macchia nera accanto ad un bellissimo quadro dai colori tenui e gentili, la nostra attenzione sarà catalizzata dallo sporco, e quello che ricorderemo di quel muro sarà l’incuria e la decadenza della macchia.
Nessuno parlerà del quadro se non come suppellettile secondario, come un’aggiunta, come un elemento presente, di cui non si ricorda nessun particolare.
Ecco, questa storia che gira in rete è quello splendido quadro che merita di essere valorizzato mentre si cerca di pulire la macchia. Questa storia merita di essere ascoltata perché ci ricorda come i particolari facciano la differenza. Questa storia è la storia di una donna che deve far leva su tutti gli altri sensi, perché la vista non ce l’ha, e grazie a questa privazione riesce per paradosso a vedere molto meglio di noi altri.
Napoli è molto più delle brutture che ci propinano i giornali tutti i giorni; è molto più degli scippi, delle sparatorie, del malcostume; è molto più del disordine, del traffico impazzito e dello stato di abbandono in cui, ahimè, versano certi quartieri. Napoli non è solo una macchia nera.
Napoli è soprattutto uno splendido quadro fatto di colori tenui, di gentilezza, di disponibilità e calore. Napoli è soprattutto amore. Napoli è un mare che non ha bisogno di essere visto perché per capirne la bellezza e la maestosità basta chiudere gli occhi e sentire.
Anche il Ponte sullo Stretto finisce nel libro dei sogni di Matteo Renzi, che anche stavolta non ha perso occasione per scippare un’altra idea al centrodestra.
Peccato però che mentre il premier si divertiva a collezionare promesse, oggi il Ministro Delrio non abbia fatto minimamente cenno a quest’opera infrastrutturale durante la presentazione del PON sulla logistica per il Sud. Anzi, poche settimane fa ha già sentenziato che non si tratta di una priorità, smentendo di fatto i proclami del suo capo.
Ormai questo Governo di baldanzosi brancola nel buio, non sa più a che santo rivolgersi per camuffare i clamorosi fallimenti che ha inanellato finora.
Ancora una volta il Presidente Silvio Berlusconi ha rimarcato con autorevolezza e lungimiranza la necessità per tutto il centrodestra di ritrovare unità e spirito di coesione.
Ora tocca alle diverse anime che compongono il nostro schieramento ritrovarsi sulla base di quei valori comuni che da sempre ispirano il nostro operato, per tornare a essere protagonisti di quel cambiamento che gli italiani ci chiedono a gran voce.
Il Ministro Madia scopre l’acqua calda quando sostiene l’esigenza di mandare a casa i lavoratori assenteisti. Per far questo le leggi esistono già. Sono quelle approvate dal centrodestra e dall’ultimo governo Berlusconi, che disciplinano procedure chiare e regolari per sanzionare chi commette illeciti contro la pubblica amministrazione.
La Madia pare invece svegliarsi da un lungo sonno e accorgersi solo ora delle tante irregolarità che avvengono negli uffici pubblici. Piuttosto, si preoccupi di snellire tutte quelle procedure farraginose che fagocitano l’apparato burocratico e complicano la vita di milioni di cittadini e imprese.
Il giocoliere ha colpito ancora. Non appena sono iniziate a montare le polemiche sul vuoto della Legge di Stabilità e sugli errori contestati a Matteo Renzi anche dalla Corte dei Conti, ecco che il Premier ha fatto spuntare da un cassetto dimenticato il “Masterplansud”, ovviamente in bozza. Così, tanto per distrarre l’attenzione. O forse sperava che nessuno lo leggesse.
Io però l’ho fatto e ne sono francamente indignato, prima di tutto come cittadino del Sud. Dietro paroloni, belle promesse e progetti fantasmagorici, si nasconde un dato assoluto e incontrovertibile: secondo Renzi lo sviluppo del Sud va finanziato solo coi soldi del Sud. Che cosa sono, infatti, i fondi europei se non soldi già destinati al Sud? Per il resto leggo di vaghe promesse di tassazioni preferenziali e soprattutto tante, troppe, chiacchiere. Quanto agli strumenti, la solita fuffa di misure vecchie e riciclate, a partire dalla Napoli-Bari che sta diventando come il panettone di Natale: non manca mai!
Invito i cittadini e la classe dirigente di questa nostra terra a dedicare un po’ del proprio tempo a verificare quanto sia vuota e effimera questa proposta che, dietro cifre rutilanti, vorrebbe condannare il Sud all’immobilismo sino al 2023.
Per parte nostra, d’intesa con i vertici del partito, metteremo in campo proposte serie e concrete per dare una spinta a cambiare le cose per davvero, per prima cosa aprendo spazi di confronto e dialogo, aperti a tutti, dagli imprenditori alle Università, a tutti gli ordini professionali e le associazioni di categoria perché il nostro contributo sia realmente fattivo.
Ignazio Marino, come sindaco di Roma, verrà ricordato più per la figuraccia col Papa o per i pranzi con la famiglia a scrocco dei cittadini che per i risultati della sua amministrazione. Però l’epilogo della sua vicenda mi è servito ad avere l’ulteriore conferma sulla “pericolosità” di Matteo Renzi.
Dopo averlo baciato e abbracciato per anni, Renzi, appena le cose si sono messe male per il suo amico prima si è defilato – del tipo: Marino chi? – e poi lo ha fatto cacciare con modi bulgari: dimissioni di massa dei consiglieri pur di impedire il dibattito pubblico in Campidoglio che voleva Marino prima di terminare la sua mediocre esperienza. Sembra una questione di forma e invece non lo è.
Il cosiddetto rottamatore della vecchia politica, il presunto campione del nuovo si è comportato, per l’ennesima volta, esattamente come avrebbe fatto un cacicco. Siccome c’era iI rischio che potessero venir fuori responsabilità politiche nella gestione di Roma o magari poteva essere tirato in ballo, ha fatto calare il silenzio. E purtroppo i consiglieri del Pd, da soldatini minacciati (se non fate così non vi candidiamo più) hanno risposto: “signorsì”.
Insomma, per Renzi la democrazia è un fastidio. Se qualcuno non la pensa come lui, oppure non gli è più utile, via a casa e in silenzio. Le Istituzioni come una caserma, di quelle di certi film però… Temo per lui, però, che inizia a non bastare. Le persone magari sono distratte e pensano soprattutto ai loro problemi, ma per quanto il sergente Renzi potrà ancora andare avanti a colpi di promesse e di minacce? L’Italia ha bisogno di ripartire per davvero.
Dai dati Istat di oggi emerge una realtà tutt’altro che positiva e rassicurante.
Da un lato il mercato del lavoro appare ancora altalenante e instabile, con cifre che oscillano a seconda delle congiunture stagionali. Dall’altro, si registra un allarmante aumento degli scoraggiati.
A ben guardare infatti il calo del tasso di disoccupazione, peraltro irrisorio essendo pari allo 0.1%, dipende essenzialmente dall’incremento degli inattivi. In altre parole, i disoccupati diminuiscono soltanto perché aumentano le persone che non cercano più lavoro.
Non c’è nulla di cui rallegrarsi e andare fieri. Matteo Renzi farebbe bene a smetterla di entusiasmarsi per queste cifre da prefisso telefonico che tutto sono tranne che incoraggianti.
Se per la Palmeri non so cosa dico, allora lei non sa leggere e non sa dove sta. Nella migliore delle ipotesi. E quanto a chi capisce o meno di politiche del lavoro consiglio prudenza all’assessore Palmeri, anche perché basta leggere il suo comunicato per capire che la sua è una non risposta.
Del resto se un assessore deve chiedere al Ministero che fine hanno fatto i fondi della Regione che amministra, e se lo fa solo dopo che ha scoperto una questione così importante, che doveva essere al centro dei suoi pensieri, “stiamo freschi” diremmo a Napoli.
Per fortuna c’è la Severino, stavolta non di nome ma di cognome. Quella che tra poco sospenderà De Luca e manderà a casa questa Giunta improvvisata e di apprendisti Pinocchio.
Leggo che la giunta De Luca festeggia la rimodulazione – e cioè il semplice spostamento da un capitolo di spesa all’altro – di quello che resta dei fondi non ancora impegnati di Garanzia Giovani.
Secondo me c’è poco da festeggiare. Evidentemente non si sono ancora accorti che il Governo nazionale ha scippato alla Campania 130milioni di euro di fondi del Piano di Azione Coesione, che erano stati destinati (d.l.76) proprio all’incentivo per le assunzioni nella nostra regione.
Approfittando di un cambio di normativa, il Governo Renzi ha fatto letteralmente sparire questi soldi. Prima che accadesse io avevo posto la questione al Ministro Poletti e avremmo dovuto discuterne a giugno. Loro cosa stanno facendo, a parte campare di rendita su cose che hanno trovato già pronte?
Gli assessori regionali Marciani e Palmeri, nell’esprimere il loro entusiasmo per il nuovo repertorio sull’apprendistato adottato dalla Regione, dimenticano di ricordare che questa misura, il cui finanziamento copre anche le ‘Botteghe Scuola’ rivolte ai giovani artigiani, è già incardinata da un provvedimento che ho varato io stesso lo scorso aprile.
La giunta De Luca continua a campare di rendita. La misura ‘Botteghe Scuola’ e il Repertorio delle qualificazioni oggi annunziate sono state programmate e adottate sotto la mia gestione. Perché non riconoscerlo? Paura di dover ammettere che siamo bravi e che la strada tracciata è quella giusta?
Stupisce che Matteo Renzi abbia avuto l’azzardo di presentare una manovra finanziata per lo più in deficit, se non altro dopo tutti i suoi proclami sul rispetto dei vincoli europei e cialtronerie varie.
Se adesso il Presidente del Consiglio intende intraprendere una crociata antieuropeista, troverà certamente terreno fertile. Ma deve essere una battaglia sensata e ragionata, non ideologica e piagnistea che lascia il tempo che trova.
Meglio la minestra riscaldata o il piatto nuovo di cui, però, non si conosce il sapore? Questo è il menù che il Pd propone ai napoletani per le amministrative del 2016, senza però minimamente comprendere che alle persone più che al nome della pietanza interessano gli ingredienti con cui viene preparata.
Sui giornali è pieno di nomi di candidati alle primarie Pd, ma di programmi non se ne vede nemmeno l’ombra. La gente non ha più bisogno di persone che puntano alla poltrona, ma di soluzioni concrete ai propri problemi. Le persone vogliono essere sicure di mangiare un piatto salutare e preparato con ingredienti genuini, non si accontentano più di guardare solo un effimero menu.
Pur stando in America, non posso fare a meno di notare che “De Luca faccia di bronzo” ha toccato una nuova vetta. Infatti il presidente Pinocchio ha commentato la condanna, da parte della Corte dei Conti, di un dirigente regionale nominato da Caldoro con la seguente frase: “elementare correttezza imporrebbe che si dimettesse”.
Ma, dico io, se questo dirigente si deve dimettere per una condanna da parte della Corte dei conti, un signore che al momento di condanne ne ha già collezionate QUATTRO – ed è anche plurindagato e sotto processo – che dovrebbe fare? Minimo andare al confino…
La vita è un privilegio, non un diritto. Questa frase mi è venuta in mente mentre ieri sera ritiravo a New York il premio che la Federazione delle Associazioni Campane degli Usa mi ha voluto concedere.
Questi generosi amici, cui rinnovo il ringraziamento per l’onore concesso, hanno scelto di premiarmi dopo la scadenza del mio mandato istituzionale di assessore all’emigrazione della Regione Campania, per aver favorito gli scambi economici e culturali tra le nostre Comunità.
Hanno deciso di riconoscere valore all’impegno, non di ingraziarsi il potente di turno. Per questo ho ritenuto di venire a New York quest’anno e di partecipare alle celebrazioni del Columbus Day, la più famosa e significativa “festa” degli italiani d’America.
Non era mai accaduto nei cinque anni dell’incarico, perché ho sempre pensato che fosse più importante lavorare e portare a casa risultati, piuttosto che rischiare di fare soltanto passerelle. Forse per questo sono l’assessore che ha viaggiato di meno della storia della Regione Campania. Certo, sarebbe stato un mio “diritto” farlo, magari con fondi pubblici. Esserci andato oggi, però, per questo motivo, e a mie spese, è un privilegio.
Inutile dire che il recente rapporto “Italiani nel mondo 2015″ non racconta nulla di nuovo: oltre il 50% dei connazionali all’estero è di origine meridionale e la Campania è la regione al secondo posto. Un dato che, oltre a preoccupare, si aggiunge allo studio del Corriere della Sera che parla di soli 100mila dipendenti pubblici con meno di 30 anni su un totale di 3.2 milioni. Un Paese ingessato e miope, insomma.
Sento troppe parole e discorsi inutili, se non dannosi, sulle pensioni, ma nulla di concreto per i nostri giovani. Il governo si sveglia?
Assistiamo in questi giorni all’ennesima brutta replica di uno spettacolo in scena ormai da anni. Un Parlamento vituperato, declassato ad arena di scontri, litigi e insulti di ogni genere. Scene che neanche allo stadio durante un derby.
Un triste teatrino che assume contorni ancora più grotteschi e drammatici perché avviene durante la discussione per sostituire quella voluta dai Padri della Repubblica con una nuova Costituzione. Ricorderemo la nascita di questa Carta per i milioni di emendamenti presentati da Calderoli, per le monetine lanciate dai 5 Stelle, per gli insulti sessisti rivolti dal senatore Barani ad una senatrice pentastellata.
È difficile sfuggire ad un senso di prostrazione e di inadeguatezza confrontando le parole e i gesti di questi mestieranti con i discorsi che nel 1948 animarono il dibattito politico e istituzionale per costruire le Leggi della nascente Repubblica. Il ricordo di Saragat del deputato operaio Filippo Amedeo per ‘la sua squisita sensibilità morale, il vivo senso politico e la devozione totale alla causa a cui si era dedicato’ o il pianto disperato dell’onorevole Concetto Marchesi che si rifiutò di votare l’articolo 7 sul Concordato. Fino alla profetica espressione, di stringente attualità, esclamata dall’onorevole Conti nel dibattito infuocato tra regionalisti e antiregionalisti: “Gli italiani vi faranno rimprovero di aver tradito il mandato”.
E le parole di Dante Alighieri tornano attuali: “Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non donna di province, ma bordello!”
Il dibattito sulla così detta sburocratizzazione della nostra Regione che si sta svolgendo in queste ore francamente non mi appassiona. Anche perché basta saper dare uno sguardo a leggi nazionali, già in vigore, per scoprire che la legge targata De Luca non è altro che un mix tra scopiazzature, provvedimenti già operanti a volte da anni o persino fonte di complicazioni per la vita del cittadino. Sfido ad un confronto pubblico con esperti indipendenti per verificarlo. Detto ciò, trovo comunque grave, sbagliata e addirittura dannosa l’abolizione delle commissioni regionale e provinciali per l’artigianato: un organismo snello che funziona benissimo e approva le richieste degli artigiani entro 5 giorni. #DeLuca adesso ne promette 90 di attesa. E allora, con questa legge, gli oltre 80.000 artigiani campani ci hanno guadagnato?
Mentre a Parigi si decide di pagare 25 cent a km le persone per andare a lavorare in bicicletta, a Napoli il servizio di bike sharing viene sospeso. Il progetto del Miur di utilizzo gratuito delle biciclette in città, partito a gennaio e che fino a settembre ha visto l’adesione di ben 15mila napoletani, è stato sospeso e si attende una nuova proposta dal Ministero o dal Comune per farlo ripartire.
E cosa aspettano a Palazzo San Giacomo? C’era bisogno di far concludere l’iniziativa per far ripartire la lenta macchina burocratica che serve a riattivare un progetto che mette Napoli al passo con tutte le più grandi metropoli del mondo?
O come quei bambini che imparano ad andare in bici, il Comune ha bisogno della spinta iniziale per ripartire?
Mi sarebbe piaciuto se il Ministro del Lavoro Poletti, oggi a Napoli, avesse parlato dei cassintegrati in deroga della Campania che aspettano ancora una risposta.
Io, assieme alle parti sociali, avevo trovato una soluzione per superare “cavilli” e burocrazia da parte dell’Inps e consentire anche per il 2015 la fruizione del trattamento per tutto l’anno e non solo per pochi mesi.
Ad oggi ancora nulla è stato fatto per loro. Accanto a questo, mi sarei aspettato meno parole e tanti fatti concreti in più sul Sud. Il tempo sta per scadere!
Disdicevole e vergognosa la scelta di Europcar di non concedere l’assicurazione in caso di furto a chi noleggia le sue auto se il fatto avviene in Campania, in Puglia e nella provincia di Catania, perché considerate “zone ove l’incidenza di simili episodi è particolarmente elevata”.
Se questi sedicenti signori sconsigliano indirettamente di recarsi al Sud, causando peraltro un pesante danno d’immagine al Mezzogiorno e ricadute negative sul comparto turistico, allora noi sconsigliamo vivamente di noleggiare le loro auto!
Ne abbiamo abbastanza di aziende straniere che pretendono di far profitti in Italia gettando fango e discredito su di noi. Se ne tornino pure da dove sono venute! E lascino spazio all’imprenditorialità giovanile italiana che di idee innovative ne ha anche di migliori.
Sono già passati 100 giorni della presidenza di Vincenzo De Luca. Noi il resoconto dei nostri primi 100 giorni di governo lo pubblicammo addirittura: lo si può ancora leggere sul sito della Regione. Uno dei primi punti del resoconto era il varo del primo Piano per il lavoro nella storia della Regione Campania: 650 milioni di euro di programmi e progetti, principalmente per giovani, donne e disoccupati, tutti poi realizzati (dal microcredito al credito d’imposta; dalla green economy alle misure sull’apprendistato, ecc). Lo approvammo l’8 ottobre 2010, ma già a metà settembre lo avevo condiviso con tutte le parti sociali, dopo un intenso lavoro di confronto.
Ma anche altro. Queste sono alcune delle azioni che, sempre nei primi 100 giorni, portano la mia firma: atti, delibere ed accordi, tutti verificabili al protocollo di Palazzo Santa Lucia.
– 5milioni e mezzo di ore al mese di cassa integrazione autorizzate che equivalgono al sostegno di circa 33mila lavoratori;
– 100 incontri e tavoli sindacali e ministeriali per affrontare crisi aziendali (a partire dalla Fiat di Pomigliano);
– Accordo con il Ministero del Lavoro per lo stanziamento di 120milioni di euro per la ricollocazione di 13mila lavoratori campani espulsi e la riconversione di 400 aziende;
– 10milioni di euro di politiche attive in favore di disoccupati di lunga durata;
– 30milioni di euro per la stabilizzazione di lavoratori socialmente utili;
– Approvazione del Piano triennale formazione-lavoro e riforma dell’Agenzia regionale per il lavoro e l’istruzione;
– 8milioni e mezzo di euro per 162 borse di studio per svolgere il dottorato di ricerca all’interno delle aziende campane;
– stop al sussidio in favore dei soli disoccupati organizzati;
– 11milioni di euro per il programma “work experience” per l’assunzione di 1000 giovani;
– 1milione e 400.000 euro per ricollocare i cassintegrati.
Non sono slides, o roll up nuovi di zecca per la conferenza stampa di turno, ma fondi europei tenacemente strappati a Bruxelles, a commissari europei che ancora ricordavano troppo nitidamente i disastri della Campania bassoliniana. Fondo che poi sono stati spesi.
Nero su bianco.
Invece mi chiedo, aldilà delle nomine, di qualche favoretto e del vortice di strette di mano cosa ha prodotto finora De Luca per la nostra Campania?
Ovviamente, fatta eccezione per un bando sulla ricollocazione dei lavoratori espulsi dal lavoro, felicemente copiato da una mia misura già pubblicata, ma spacciato come nuovo, come segnalato anche dalla stampa.
In questi giorni si consuma, nel consueto silenzio, un altro danno per la Campania. La multinazionale americana Hp, nonostante utili e fatturato positivo, ha deciso di “razionalizzare” la sua presenza in Italia. Guarda caso, chiudendo lo stabilimento campano di Pozzuoli con oltre 120 dipendenti, accampando scuse come quella di ‘avvicinarsi’ ai clienti.
Peccato che, per esempio, molti dipendenti degli stabilimenti di Roma lavorino, per esempio, per clienti di Milano. Se Hp vuole soltanto licenziare, almeno non si nasconda dietro gli ammortizzatori sociali che tra l’altro paghiamo noi e non si trovi pseudo imprenditori che facciano finta di acquistare contratti di lavoro per risparmiarsi la fatica di licenziare direttamente.
E bene hanno fatto i lavoratori, cui va tutta la mia solidarietà, a respingere un accordo che significava soltanto coprire queste manovre. Ad oggi, Regione Campania e Ministero dello Sviluppo Economico si sono limitati alla solita assistenza psicologica (riunioni fumose, pacche sulle spalle, ecc.). Secondo me è ora di cambiare passo. Hp, per esempio, è titolare di una grossa e lucrosa commessa con il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e collabora con molti Enti, nazionali e locali. Insomma, buona parte del suo fatturato italiano dipende dal pubblico.
Chiedo perciò al Governo di far valere la sua veste di “buon cliente”, come si usa fare in ogni parte del mondo. Quanto alla Regione, davanti alla quale pende una richiesta di cassa integrazione della Hp, almeno sventi questa manovra in danno dei cittadini italiani e faccia valere il peso, anche morale, dei finanziamenti erogati negli anni
Renzi la chiama la madre di tutte le riforme e a me invece ricorda solo una canzone di Elio e le storie tese. Italia sì? Italia no? Ve la ricordate la Terra dei Cachi? Secondo me non è cambiato nulla. Nè cambierà nulla dopo questa riforma.
Se il Senato si fosse abolito, allora staremmo parlando già di un’altra cosa. Ma così non è, così come non lo è stato per le Province. E intanto, però, siamo costretti ad assistere al solito minuetto, che comincia nella Direzione del Pd e termina nelle aule parlamentari, in cui si va avanti a colpi di emendamenti e mozioni, ricollocazioni e cambi di partito, senatori che vanno e vengono e poltrone che si mantengono con la colla.
Ma io mi domando: alla gente, di tutto questo, cosa importa? A parte che una riforma della Carta Costituzionale non si può derubricare a partita di Risiko, ma dopo tutto questo finto litigare, quando le varie correnti un accordo lo troveranno, perché lo troveranno, cosa cambierà per la gente che si aspettava che le priorità fossero tasse e pensioni?
Di fronte ad un bambino a cui vengono negati i propri diritti, non possiamo solo indignarci, dobbiamo reagire e fare in modo che non accada più. Dove sta il Comune? Perché non prende posizione e si attiva, anche presso Napoli Sociale, così come chiesto dalla mamma, affinché il piccolo Francesco possa avere l’assistenza di cui ha bisogno?
La lotta agli sprechi va bene, ma sono anni che dico che i tagli non devono essere orizzontali. I tagli vanno fatti in maniera ragionata, anche dai Comuni. Altrimenti a pagarne le conseguenze saranno sempre e solo i più deboli. In bocca al lupo al piccolo Francesco e alla sua famiglia.
Francesco è figlio di tutti noi.
http://napoli.repubblica.it/…/napoli_epilessia_e_convulsio…/
Questo di oggi è il primo “San Gennaro” senza mio padre. E allora è giusto che lo ricordi io. Infatti, papà non era un napoletano doc, perché era nato in un paesino del nolano, Comiziano. Però era stato adottato da Napoli, o, forse, come tanti, era lui ad aver adottato questa città, così turbolenta e difficile. Nel “pacchetto” della napoletanità era compreso San Gennaro e i suoi riti.
E così, accanto al santo protettore del suo paese d’origine (San Severino, da cui derivo io…), nella mia casa ha sempre aleggiato la figura del martire miracoloso, con la sua storia piena di misteri ed i mille aneddoti che circondano questa millenaria figura. Ricordo che, quando poteva, andava al Duomo ad assistere alla liquefazione del sangue. Poi, negli ultimi anni, prima che la sua malattia lo isolasse dal mondo, non mancava mai di chiedere se San Gennaro avesse fatto il miracolo e quando.
Ad ogni tempistica e ad ogni modalità della liquefazione corrispondeva un “fatto” per la Città che lui, grande appassionato di storia, immancabilmente conosceva e ricordava. Perché, in fondo, San Gennaro è il simbolo e la cartina tornasole di Napoli. Una città che vive perennemente sospesa nella rassegnata attesa del miracolo che cambi le cose ma che, all’improvviso e con un guizzo, trasforma la sua indolenza in un’esplosione di idee, sempre geniali. Ed è di questi lampi che si era innamorato mio padre.
A proposito: San Gennaro domani sera, con la Lazio, pensaci tu.
La fila di turisti di ieri mattina a Roma, lasciati fuori dal Colosseo e dai Fori Imperiali per un’assemblea sindacale, mi ha ricordato le scene di Pompei di questa estate. Non è la prima volta che nel nostro paese assistiamo a situazioni simili che purtroppo poi hanno eco oltreconfine, rimbalzando sui telegiornali di tutto il mondo.
É sacrosanta libertà dei lavoratori potersi riunire in assemblee e rivendicare i propri diritti, ma queste strategie di protesta sono un danno inaccettabile per tutto il sistema turistico italiano e seppur la proposta del Governo è ancora da valutare nel dettaglio, una norma che difenda l’arte e il turismo in Italia è fondamentale. Il nostro patrimonio storico, uno dei beni più preziosi che abbiamo, va tutelato perché anche la cultura ha i suoi diritti!
Trovo quanto mai curiosa l’efficienza dimostrata dalla Regione nell’erogazione dei fondi Ue alla città di Salerno. Tra la domanda della città amministrata per anni da De Luca e la liquidazione del denaro sono passati soli 7 giorni! Tempi record!
Salerno per questi fondi era in una lista con altri 18 comuni con più di 50mila abitanti della Campania.Vi lascio indovinare quale è stata tra queste fino ad ora la prima e l’unica a ricevere i fondi. Per le altre l’assessore Serena Angioli ha parlato di “problemi tecnici da risolvere caso per caso”, problemi tecnici che naturalmente nel feudo deluchiano non erano presenti.
Come diceva Andreotti, “a pensar male degli altri si fa peccato, ma spesso ci si indovina”
Leggo che il Comune di Castellammare ha pubblicato un bando per la vendita dell’hotel delle terme, prevedendo premialità per chi assume gli ex lavoratori dello stabilimento. Senza un piano complessivo, si rischia al più di favorire una speculazione immobiliare. Io avevo proposto al Comune, invece, di mettere in campo una strategia complessiva, che innanzitutto rendesse attuale e fruibile il patrimonio storico e culturale rappresentato dalle Terme.
1) Favorire un investimento imprenditoriale, magari pubblico-privato, per realizzare, nelle antiche terme, un centro benessere e di servizi alla persona, destinato a raccogliere il bacino dell’intera fascia costiera. Insomma, un centro di eccellenza fondato sulla qualità e sull’esperienza dei lavoratori (fisioterapisti, medici, operatori del benessere) come ce ne sono ben pochi in tutta l’Italia meridionale.
2) Invece di continuare ad illudersi di poter convincere le persone a venire in massa a prendere le acque a Castellammare, “esportarle” nel mondo, proprio come accadeva un tempo. E quindi, d’intesa con il Ministero dello Sviluppo economico e con la Regione, finanziare un investimento per la realizzazione di un grande stabilimento per l’imbottigliamento, da affidare ad una delle multinazionali che operano in Italia (ne abbiamo anche in Campania!).
3) Utilizzare le nuove terme, in sinergia con Federterme, per avviare un’attività a misura delle effettive ed attuali esigenze del territorio.
4) Mettere all’asta l’albergo, non soltanto in favore di un qualsiasi acquirente e a qualunque prezzo, ma scegliendo innanzitutto il progetto che metta a disposizione della città il migliore utilizzo degli oltre 20mila metri quadrati dell’hotel.
Di tutto questo continuo a non sentir parlare!
Non sarebbe questo forse il compito della politica?
Seguo con attenzione il dibattito di queste ore in Lombardia per la scelta del candidato sindaco di Milano. E trovo di buonsenso le parole del capogruppo di Area Popolare alla Camera Maurizio Lupi, che annuncia un suo passo indietro in favore dell’unità del centrodestra.
E allora, sorridendo, mi chiedo: perché invece in Campania si deve partire per forza dai nomi e da alleanze decise a tavolino? E da chi? In quale riunione e soprattutto con quale autorevolezza? Piuttosto, se qualcuno sta pensando alle prossime elezioni politiche e alla propria salvezza, dimostra solo cinismo ma ben poca lungimiranza politica. E non è detto che trovi chi è disposto ancora a fargli da cavia
Il Sud che vince. Da solo però. Queste ragazze pugliesi sono diventate campionesse per “fatti loro”, non all’interno di una rete strutturata che offre ai nostri giovani l’opportunità di godere di un’educazione anche (o meglio direi almeno) sportiva. Le nostre scuole sono vecchie, come sono vecchi programmi e sistemi. E questo accade molto più al Sud che al Nord. Per esempio pochi sanno che lo Stato ha sostenuto con fondi propri la manutenzione, ordinaria e straordinaria, degli edifici scolastici del Nord, mentre le regioni del Sud (quelle che sono state capaci) lo hanno dovuto fare coi fondi europei.
Eppure oggi tutti pronti a festeggiare il successo “italiano”, con in testa il nostro premier. Matteo Renzi sceglie di volare a New York con un aereo di Stato (a proposito, proprio lui ne ha ordinato uno nuovo) per essere il primo ad abbracciare le figlie del Sud. E si dice che le riporterà in Italia con l’aereo, un po’ come fece Pertini dopo i mondiali di calcio del 1982. Pertini veniva dalla guerra e dalla ricostruzione, dalla fame e dal lavoro, Matteo Renzi dalle “slides” e dalle “photo opportunity”: non mi pare la stessa cosa. E soprattutto l’Italia di allora era un Paese tutto sommato ricco, seduto su un debito pubblico colossale, ma padrone della sua moneta, capace di contare sullo scenario internazionale e ancora accreditato dalle capacità dimostrate col “miracolo italiano” degli anni sessanta.
Queste fortune Renzi non ce l’ha e noi con lui. Così stride con il desiderio del Paese reale che il nostro premier vada a vedersi la partita invece di spiegare per esempio agli operai delle fabbriche o ai piccoli imprenditori che l’aspettavano a Bari alla Fiera del Levante che si farà sul Sud, per davvero e non con slogan.
Dispiace che Renzi festeggi Flavia e Roberta, ma non abbia trovato il tempo di stringersi agli alluvionati della Calabria ad agosto, ai familiari di chi è morto pochi giorni fa per difendere la legalità a Napoli, agli imprenditori che hanno denunziato i loro estorsori o ai tanti che soffrono ingiustamente. Lì c’è dolore e sangue, non sorrisi e lustrini. Li c’è da fare e non da sorridere. Ma li c’è l’Italia da unire. In fondo è la differenza fra l’essere e l’apparire…
La morte di Gennaro, il ragazzo di 15 anni schiacciato da una betoniera ieri a piazza Municipio mi ha ricordato quella, altrettanto tragica e atroce, di Salvatore, morto a 14 anni per la caduta di un calcinaccio nella Galleria Umberto I di Napoli. Fatalità si dirà. Forse, perché certo nessuno ha voluto la morte di questi due ragazzini. Ma non solo, secondo me.
Queste morti testimoniano lo stato drammatico delle Istituzioni e dell’amministrazione di questa città. La morte di Gennaro è il frutto dei lavori, caotici e infiniti, che interessano il centro di Napoli. Lavori necessari sicuramente, ma gestiti da un tempo infinito e sempre in modo improvvisato, come sanno bene i residenti.
Strade che si allargano o restringono all’improvviso, comunicazione scarsa e imprecisa, vigili assenti o inutilmente presenti, cantieri “aperti” ai passanti dove un ragazzino che s’infila col motorino non rappresenta certo un evento imprevisto e imprevedibile. E, soprattutto, totale assenza di programmazione. I cantieri spuntano come funghi, senza alcuna considerazione per le esigenze di mobilità dei cittadini e senza tener conto dell’esistenza di altre opere in corso, magari a pochi metri di distanza.
Insomma, caos, accompagnato dal menefreghismo di chi dovrebbe dirigere e soprattutto controllare, non solo da parte della politica. Anche la morte di Salvatore è il frutto della stessa mentalità malata: Salvatore è morto semplicemente perché nessuno di coloro che hanno la responsabilità di farlo ha mai svolto un’attività di verifica, sistematica e non casuale, dello stato manutentivo degli immobili di questa città.
Una pietra può sempre cadere da un palazzo, ma basta alzare gli occhi al cielo nelle strade di Napoli per scoprire che quella morte non è frutto di un destino cinico e baro, ma di un evento largamente prevedibile. Ecco, questo è ciò che addolora e rattrista. Ricordiamocelo quando si spegnerà la luce dell’ultima telecamera su questa nuova tragedia, iniziando a pretendere che le cose si facciano sul serio.
L’11 Settembre nella storia dell’umanità è una data che non sarà mai più la stessa ed è necessario ogni anno soffermarsi sui tristi fatti di quel 2001 per mantenere viva la memoria di migliaia di persone innocenti che quel giorno persero la loro vita.
In questi anni il terrorismo si è modificato. Da Bin Laden ha preso il volto dell’Isis. Oggi più che mai è necessario un momento di riflessione sulla sfida che la comunità internazionale è chiamata a intraprendere per fermare l’escalation di terrore oramai divenuto tristemente quotidiano.
Questa è la sfida che tutti noi siamo chiamati ad affrontare per difendere il nostro futuro e quello dei nostri figli. E non possiamo voltarci dall’altra parte, pensando che tanto questo male è lontano, perché i fatti hanno dimostrato che domani potrebbe capitare a noi o ai nostri cari di essere di colpiti dalla mano ferma e crudele di un terrorismo che non si ferma di fronte a nulla.
Nelle ultime settimane l’Europa si sta svegliando ed ha iniziato a prendere coscienza del problema migrazione. Almeno all’apparenza, non è più un’emergenza che tocca solo l’Italia.
Ma anche su questo tema, come era accaduto per la Grecia, ci troviamo di fronte a due Europe: l’Ungheria che ha voltato le spalle ai migranti e la Germania che ha aperto le frontiere. Facendo la metà del proprio dovere.
E questo lo dico orgogliosamente da italiano. Del Sud. Perché in ogni caso, nessuno ha fatto quanto e come l’Italia. Alla Germania chiedo di continuare a farlo convintamente, perché non resti un problema solo italiano.
Accanto a questo mi auguro che la Germania allarghi le proprie vedute anche sul tema dell’economia e la smetta di avere una visione “ragionieristica” e burocratica dell’Europa. All’Ungheria invece un appello: abbattete quel muro!
‘L’Uomo Qualunque’ nell’Italia di oggi sarebbe grillino o leghista? Molti hanno dimenticato che, nel 1946, si presentò alle elezioni nazionali un partito fuori dagli schemi: quello dell’ ‘Uomo Qualunque’, che riportò oltre il 5% dei voti ed elesse ben 30 deputati all’Assemblea costituente.
Insomma, l’antipolitica non è una novità di questi anni difficili, ma c’è sempre stata in Italia. Manco a dirlo, lo slogan dell’Uomo Qualunque era “Abbasso tutti”. Non vedo una grande differenza con il “Vaffa” di Beppe Grillo o il dito medio buono per ogni occasione di qualche leader leghista.
Ma le idee? I programmi? Loro ne avevano uno e fecero anche dei congressi: sapevano benissimo con chi ce l’avevano, contro chi andavano, ma non cosa volevano costruire. In cinque anni l’ ‘Uomo Qualunque’ sparì mentre parecchi dei suoi parlamentari si riciclarono in altri partiti.
La mia non è certo una difesa dei politicanti di professione che in questi anni hanno involgarito le Istituzioni e mortificato il Paese, ma è un modo per dire che mi sembra necessario ed urgente un ritorno ai contenuti e alla competenza.
Se ci fate caso, prima molte persone si facevano ingannare magari con la promessa di un posto. Oggi molti pensano di essere diventati furbi perché non ci cascano, ma poi si lasciano trascinare dai facili entusiasmi: per gli uomini con la bacchetta magica o per quelli che assecondano solo le nostre paure.
La storia dell’ ‘Uomo Qualunque’ ci insegna che anche i nostri nonni ebbero il loro grillo, la loro chimera. Ma poi? La storia italiana è stata fatta da uomini seri e concreti come De Gasperi, Moro, Berlinguer… Le delusioni di certa politica prima o poi toccano tutti, ma la differenza tra il cittadino e l’uomo qualunque di oggi sta nella scelta di pronunciare o no quel “vaffa”. La scelta tra rimboccarsi le maniche per cambiare le cose o affidarsi a chi le cose, di certo, non le cambierà mai.
Domenica di fine estate. È giusto strappare ancora un giorno di riposo, magari al mare. Ma non dimentichiamoci di chi soffre, nel ricordo di un eroe.
Ieri le forze dell’ordine sono riuscite ad assicurare alla giustizia gli assassini di Anatolij Korol, il muratore che ha perso la vita per sventare una rapina al supermercato ‘Piccolo’ di Castello di Cisterna. Ai tanti che hanno lavorato a questa indagine va il mio plauso e la mia gratitudine.
È ancora aperta la sottoscrizione “In memoria di Anatoly”. Chi vuole può effettuare un bonifico sul c/c n. 103052810, intestato all’Associazione senza scopo di lucro “Insieme”, presso Unicredit SpA – Agenzia Napoli Piazza Bovio, 22 (codice Iban: IT56E0200803475000103052810) oppure inviare un vaglia postale a questo indirizzo: Associazione Insieme – Via Calata San Marco, 13 – 80133 – Napoli, con la seguente causale: “In memoria di Anatoly”.
Sul sito www.associazioneinsieme.eu/elenco-dei-bonifici-pervenuti-in-memoria-di-anatoly/ sono pubblicati i nomi di chi ha già contribuito, dimostrando che la solidarietà può andare oltre le chiacchiere.
E spero che molti altri ci seguano.
Grazie mille a tutti!
Giulio, 25 anni, ingegnere chimico, e Giuseppe, 30 anni e un percorso universitario come biologo, sono i due giovani giocolieri che ogni giorno si esibiscono a Napoli al semaforo tra via Marina e via De Pretis. Il loro palcoscenico è la strada, iI loro pubblico sono gli automobilisti in attesa del verde.
La loro, però, non è la solita storia di disoccupazione giovanile o di difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro. La loro è una scelta. La scelta di abbandonare il percorso suggerito dalle loro carriere universitarie per inseguire un sogno: l’idea che si può essere liberi facendo divertire gli altri e vivendo fuori dagli schemi. Potrebbe essere una bella storia, una storia di vita – forse diversa – ma di quelle che si raccontano con soddisfazione e magari con un pizzico di invidia.
Ma Giulio e Giuseppe sono costretti a esibirsi in mezzo a una strada per mancanza di infrastrutture idonee. Per l’inerzia e l’incapacità anche di questa scellerata Amministrazione – che pensa con miopia che mantenere un incarico sia più importante che favorire anche l’arte e la cultura – Giulio e Giuseppe sono costretti a rischiare l’osso del collo ad ogni acrobazia, a bussare ai finestrini delle macchine per guadagnare qualche spicciolo che probabilmente non permetterà loro di mangiare un pasto caldo la sera.
Offriamo a Giulio e Giuseppe un circo a Napoli: un palcoscenico e un pubblico vero, un luogo dove esibirsi in sicurezza e regalare ai tanti appassionati un sorriso. Un luogo dove provare le loro performance e far del loro sogno un lavoro vero. Ma anche un luogo per tanti altri giovani, dove insegnare e tramandare un’arte nobile e antica e creare ricchezza e attrattive per la nostra città.
Invece oggi, in questa città, per i professionisti della politica è più importante una poltrona per uno di loro che un tendone per molti.
Eppure l’arte, la cultura, lo spettacolo sono l’anima di Napoli, quello che l’ha resa straordinaria e diversa.
A Giulio e Giuseppe dico di tenere duro e di continuare a donare gioia e emozioni. A tutti di noi di rimboccarci le maniche per cambiare Napoli!
Di seguito riportiamo l’elenco delle persone che hanno sostenuto la nostra sottoscrizione in favore della famiglia di Anatoly Korov. A tutti loro va il nostro ringraziamento più sentito.
Severino Nappi
Alessio Viscardi
Gianna Boido
Luigi Lacchi
Diego Maria Stendardo
Filippo Lo Giudice / Lucia Silvestro
Monica Geppini / Ernesto Catapano
Alessio Pozzi
Massimo Fiorillo
Claudia Meo
Tkachenko Nataliya
Giuseppe Landolfi
Marco e Ottavio Torresendi
Giuseppe Di Matteo / Loredana Ferraro
Marcello Maffeo / Concetta Bartolozzi
Roberto Ferrari
Ferdinando Solimeno
Mauro Scarabotti
Paolo Pocecco / Poceccokarin Redlich
Giovanni Germano
Luisa Cirillo
Luigi Ruocco
Luisa Dufur
Giuseppe Farese
Amelia Cansacchi / Amedeo Ollivieri
Giuseppina Vallozzi
Giovanni Ramasco / Luci Santostefano
Enrico Tempestini
Paolo Mondo
Raffaele Sdino / Maria Cuocolo
Luca Messeri
Maria Pia Mazzocca
Stefano Nerbolino / Anna Savarino
Paolo Pinto
Maria Cristina Gibelli
Succede a Napoli, succede alla Sanità. Il quartiere forse più popolare della città che non merita di essere ricordato solo per le faide di camorra, che pure ogni giorno ci ricordano di un morto ammazzato (come oggi). E succede che in questo quartiere è stata ospitata l’antichissima e ricchissima biblioteca comunale fino al 2006 e che oggi i lavori per trasferirla in una nuova struttura siano al palo da ben 9 anni.
Coscienza civica? Amore per la propria la cultura della propria terra? Una biblioteca aperta e funzionante alla Sanità, per la Sanità, significherebbe molto di più. Sarebbe un punto di riferimento e di aggregazione per tutti quei ragazzi che dopo la scuola (se a scuola ci vanno ancora) non hanno dove studiare e dove documentarsi. Sarebbe un posto in cui stare per non finire per strada al servizio della camorra. Sarebbe, appunto. Se il Comune e chi di dovere intervenisse, e pure di corsa, per il completamento dei lavori.
Vanno bene tutte le manifestazioni che si stanno organizzando per Piazza Bellini, ma focalizzare l’attenzione su una sola delle centinaia di piazze napoletane, potrebbe spegnere i riflettori sulle altre. Piuttosto investiamo in sicurezza, in videosorveglianza e rendiamo la nostra città all’avanguardia sulla vivibilità.
Di questo ha bisogno Napoli, di questo abbiamo bisogno noi napoletani e le migliaia di turisti che nella nostra città vengono quotidianamente per ammirare le sue bellezze e i suoi tesori. Lancio una proposta: teniamo aperte chiese e musei anche di notte, mettiamo insieme sorveglianza pubblica e privata, accendiamo “le luci” su Napoli e spegniamo la camorra!
L’incredibile foto di migranti, marchiati con un pennarello, a Braclav in Repubblica Ceca ha fatto oggi il giro del mondo. E non solo a me, credo, ha rievocato periodi bui della storia dell’umanità.
Vedere bambini in braccio alle madri, sfiniti per un lungo viaggio della speranza, mi richiama alla mente scene di Schindler’s List, capolavoro della cinematografia mondiale, nel quale il protagonista salva migliaia di ebrei dai campi di concentramento utilizzando il suo patrimonio.
Anche ai nostri giorni servirebbe un nuovo Schindler che aiuti concretamente queste migliaia di profughi che stanno fuggendo dal loro paese per cercare un futuro migliore per loro e per i propri figli.
“Chi salva una vita, salva il mondo intero”, scrivono gli ebrei salvati da Schindler alla fine del film.
Una frase che valeva allora, e che vale, se possibile, ancora di più ai giorni nostri. Non rimaniamo indifferenti di fronte a queste scene.
Uno stadio che non fa più il pienone, striscioni dentro e fuori dal San Paolo e persino qualche inno “nuovo di zecca”. Tutto e tutti rigorosamente contro il presidente De Laurentiis. La squadra, i ragazzi, invece, non si toccano. Anche perché ci mancherebbe pure che, dopo quei due spettacolari goal di Higuain, ce la prendessimo pure con loro.
Piuttosto sono i tre cambi che non comprendo, così come non ho compreso la sostituzione dello stesso Higuain in favore del pur bravissimo Gabbiadini al debutto col Sassuolo. Higuain io lo lascerei sempre e comunque in campo, così come il nostro Capitano Hamsik, a meno che la loro condizione fisica non glielo consenta.
Ma veniamo ai tre cambi di ieri sera, dopo un primo tempo da incorniciare, in cui non avevamo lasciato che la Sampdoria tirasse una sola volta in porta. Tre cambi, tre errori, secondo me. Lasciando in panchina Mertens e stavolta pure Gabbiadini. E qui è il punto. Una squadra che crede nello scudetto e aspira a tornare in Champions può reagire tatticamente così ad un pareggio?
Il vero tema secondo me è proprio nell’assenza di un progetto, che di conseguenza si trascina dietro l’assenza di un adeguato mercato e l’assenza di qualsiasi ambizione. A Napoli, il calcio è pane quotidiano e il Napoli è molto di più che una squadra. Il Napoli è riscatto, è speranza, è ambizione appunto. È tutto ciò in cui la gente crede, senza alcun filtro, senza alcuna distinzione di ogni sorta.
Ecco perché Napoli e i napoletani meritano di più, a partire da uno stadio all’altezza di una squadra europea. Ecco perché il vero mea culpa, l’unico e il solo, va fatto dalla società. Tutto il resto sono chiacchiere da bar sport, Sarri fa quel che può e i ragazzi in campo lo stesso, rischiando di perdere smalto e qualche volta pure lucidità.
Ma forse tutti noi avremmo dovuto accorgercene prima, con la cessione di Lavezzi e di Cavani. E ci ho pensato proprio ieri sera. Mentre noi arrancavamo un pareggino casalingo con la squadra di Zenga, il Psg veniva traghettato verso l’ennesima vittoria proprio da Cavani e Lavezzi, due dei nostri tre tenori di un Napoli da Champions che, francamente, vorrei tanto vedere, ma non vedo più.
Forza ragazzi, a voi dico non mollate mai. Fatelo per questa città.
A De Laurentiis dico: si faccia una domanda, forse anche più di una. Fare il presidente del Napoli non è come produrre un film. Fare il Presidente del Napoli non dovrebbe essere un lavoro.
Invece basta leggere i bilanci del Napoli per scoprire che è un secondo lavoro per lui e per la sua famiglia. Molto ben retribuito. Per me e per milioni di napoletani, qui e nel mondo, il Napoli è “tutta n’ata storia!”.
A Castello di Cisterna, un piccolo paesino della Provincia di Napoli, un uomo entra in un supermercato con la sua bambina, vede che è in corso una rapina e, dopo aver messo al sicuro la piccola, interviene per sventarla. I due criminali non esitano a sparargli e lo uccidono. Uno straordinario gesto di coraggio e di senso civico, da parte di un inerme muratore.
Quanti lo avrebbero fatto al suo posto? In tanti la paura avrebbe preso il sopravvento e forse ancor di più un altro sentimento: l’indifferenza. Il solito “Chi me lo fa fare?” Invece questo giovane eroe, tanto coraggioso quanto sfortunato, ha scelto di reagire alla violenza e si è lanciato a difesa di un negoziante che probabilmente neppure conosceva. Non lo ha fatto per il negoziante, ma ha fatto molto di più: lo ha fatto per noi.
Il suo coraggio è un grido: non si ruba, non si uccide, non si sfruttano gli altri. Ha gridato, a nome di tutti quelli che stanno zitti, che siamo stufi e che vogliamo poter vivere serenamente e senza paura. E’ caduto, per tutti noi. Ora, invece di parole – i soliti paroloni da parte dei soliti professionisti del dolore, ovviamente altrui – credo sia giusto rispondere coi fatti, sostenendo la sua famiglia, concretamente.
Un’ultima cosa: Anatoly Korov era un muratore ucraino di 38 anni, venuto qui a lavorare onestamente con la moglie e i suoi tre figli, piccoli. Tre orfani cui resta un grande esempio. Sta a noi tenere accesa la luce su questa storia e farla diventare patrimonio del nostro Paese. Quando si parla di immigrazione, si parla anche di questo. Non dimentichiamolo.
Apro una sottoscrizione: “In memoria di Anatoly”. Chi vuole può effettuare un bonifico sul c/c n. 103052810, intestato all’Associazione senza scopo di lucro “Insieme”, presso Unicredit SpA – Agenzia Napoli Piazza Bovio, 22 (codice Iban: IT56E0200803475000103052810) oppure inviare un vaglia postale a questo indirizzo: Associazione Insieme – Via Calata San Marco, 13 – 80133 – Napoli, con la seguente causale: “In memoria di Anatoly”.
Fa piacere sapere che tra le priorità del Governo indicate dal premier Renzi ci sia l’intenzione di focalizzare la lente dello sviluppo sulle politiche per il Mezzogirono. Essendo però ormai diversi anni che assistiamo a promesse simili, aspettiamo di vedere il contenuto di questo MasterPlan per il Sud, prima di lasciarci travolgere da facili entusiasmi.
Le 15 realtà di cui parla Renzi condividono le stesse necessità: politiche industriali per sostenere il tessuto imprenditoriale e le produzioni del Sud, infrastrutture adeguate che favoriscano la circolazione delle merci, abbattimento del micidiale mix di burocrazia che ingessa le istituzioni e opprime i cittadini. Questo e tanto altro dev’essere fatto per il Mezzogiorno.
Senza il Sud il Paese non riparte. Non c’è Italia senza Sud.
È triste notare come politica e informazione tendano a sottovalutare le questioni. Mi spiego. Una vecchia lezione di giornalismo insegna che un terremoto in un paese lontano, sia pure con migliaia di morti, attira molto meno l’attenzione di un piccolo fatto che si consuma sotto gli occhi dei lettori. Quindi, per vendere giornali (o fare share in tv), meglio concentrarsi su quest’ultimo.
Ammesso che il principio possa essere ancora valido al tempo della globalizzazione, questa logica non dovrebbe valere di fronte a eventi lontani i cui riflessi sono però destinati a consumarsi (anche) dalle nostre parti. In questi giorni, la crisi della borsa cinese viene affrontata, sulle pagine dei giornali e dalle tv, con un certo distacco e con un’evidente sottovalutazione della portata e degli effetti su di noi di quanto sta avvenendo. Per non parlare della politica, che appare del tutto inconsapevole dei riflessi e sta trattando la questione alla stregua del funerale di un parente lontano: cordoglio di circostanza e via….
Eppure, dietro il crollo del mercato azionario asiatico, c’e’ l’esplosione della bolla immobiliare cinese, esattamente come era accaduto in America nel 2008. La differenza sta nel fatto che in America a creare la crisi era stato lo scellerato sistema di gestione dei cd. derivati e il forsennato ricorso al credito cui erano stati invogliati gli americani. In questo caso, il falò sta invece divorando le risorse e i risparmi che centinaia di milioni di cinesi erano riusciti a mettere da parte negli ultimi 15 anni dopo che lo Stato aveva improvvisamente “aperto” al mercato e all’occidente.
Questo ha fatto si che fiumi di denaro – si stima 10.000 miliardi di dollari – siano stati convogliati dai nuovi ricchi e benestanti cinesi verso il mercato azionario per finanziare investimenti sempre più faraonici e grandiosi. Sappiamo come è andata a finire la crisi americana e, meglio di tutti, lo sanno coloro che da noi hanno perso il posto di lavoro, sono falliti e ancora oggi stentano a trovare una prospettiva per ripartire.
La risposta europea alla crisi finanziaria americana, infatti, è stata quella di intervenire con una colossale opera di tagli (la cd. spending review) che ha finito per colpire soprattutto coloro che stanno indietro. Questo essenzialmente perché si è favorito un approccio contabile e finanziario di mero riequilibrio dei conti, a scapito di politiche di ripresa economica fondate sul sostegno all’impresa e alla produzione.
Se ora non si inizia a ragionare subito sugli effetti che questo nuovo tsunami scatenerà dalle nostre parti tra alcuni mesi, puntando ad attivare immediatamente interventi straordinari in favore dell’economia reale (e non quella cartacea), stavolta si resterà definitivamente travolti. E non si potrà certo dire che è stata colpa del destino cinico e baro…
In questa calda domenica di fine agosto molti hanno goduto il mare o la montagna o, magari, sono andati in giro a scoprire le bellezze delle Città e dei borghi di questo straordinario Paese. È giusto e bello. Il riposo e le vacanze sono opportunità di svago e di serenità, ma anche l’occasione per rinsaldare rapporti familiari o con gli amici, lontano dagli affanni della vita quotidiana.
Eppure, un sentimento come questo – in fondo così comune e normale – oggi viene quasi colpevolizzato. È una strana epoca la nostra. Di fronte agli orrori del mondo e in presenza di una crisi economica che impatta nei suoi riflessi anche sulle vicende politiche e istituzionali, dai mass media e dalle Autorità ci arriva il messaggio che siamo noi ad essere “colpevoli”.
Colpevoli di aspirare al benessere, ad un lavoro stabile, al futuro sicuro per i nostri figli. E allora giù “pistolotti” a ricordare che altrove va peggio: dai racconti delle tragedie che si consumano (come a dire: in fondo voi potete mangiare, quindi non lamentatevi troppo…) sino al severo ammonimento che il posto fisso non c’è più e dunque occorre accontentarsi di una “sicura” precarietà.
Quasi che voler assicurare ai propri figli condizioni di vita migliori delle proprie sia diventato un peccato, per giunta grave. Io non lo credo e semmai penso che, di davvero grave, oggi ci sia solo l’incapacità della politica, ma forse ancor di più della classe dirigente, di avere una visione strategica per far prosperare la propria comunità e di pensare che l’unica soluzione sia quella di tagliare.
Tagliare diritti, tagliare servizi, tagliare opportunità. Questa è solo la via più comoda per tenere in equilibrio i conti pubblici, non quella per assicurare una prospettiva di crescita e di sviluppo. E’ tempo di rivendicare alla politica l’impegno e la competenza per aiutarci ad essere felici, o tranquilli, anche perché dire sereni non è proprio così auspicabile!
Ormai sono giorni che i giornali sono pieni di pagine e pagine dedicate ai possibili candidati Sindaco di Napoli. Tutti fanno nomi, molti anche autorevoli, ma nessuno sembra minimamente interessato ai contenuti.
Il mio pensiero è un altro. Non si sprechino energie, animando il dibattito soltanto attorno al nome di qualcuno o, persino, contro qualcuno. Continuare per questa strada sarebbe uno sbaglio gravissimo.
Chiedo invece che si parli di proposte e di programmi, concreti. Di quello che bisogna fare per questa città e soprattutto di come bisogna farlo. Per una volta non si cerchi l’uomo solo al comando, il personaggio – o come purtroppo va di moda di questi tempi il “personaggetto” – capace, con un colpo di bacchetta magica, di rivoltare Napoli.
I napoletani, e i campani, ci sono cascati molte volte e, puntualmente, sono rimasti “delusi e confusi”. Almeno stavolta cominciamo a guardare meno al nome e facciamo attenzione alle proposte e ai programmi.
Per questo immagino una sola regola, ma inderogabile: chi vuole mettersi in gioco deve presentare un programma preciso e definito, nel quale sia chiaro anche il “come e il quando” realizzare le cose che si propongono.
Sarà l’unico modo per smascherare, in tempo, gli incantatori dalle facili promesse. Perché non è certo di quel “fumo negli occhi” che ha bisogno una città – la mia Città – così dolente e ferita, innanzitutto per la colossale incapacità e indifferente mediocrità della sua classe dirigente.
Il fiorire di commenti sulla crisi del Sud in occasione della pubblicazione di rapporti sull’andamento dell’economia, dell’impresa o del lavoro mi fa sempre venire in mente il Festival di Sanremo e una canzone: “Fiumi di parole”. Tutte uguali, sempre uguali. A volte mi viene da pensare che siano state scritte da uno soltanto, per tutti, e una volta per tutte, e che poi vengano tirate fuori per l’occasione, un po’ come si fa con certi cibi in freezer quando non si ha voglia di preparare la cena. E mi domando: ma queste lacrime sulle condizioni del Mezzogiorno sgorgano soltanto quando si leggono i rapporti? Cito a casaccio e alla rinfusa soltanto qualcuno dei “fatti notori” più recenti che stanno contribuendo a quei dati e sui quali abitualmente si tace: aumento dello squilibrio nel rapporto dei finanziamenti per investimenti in infrastrutture e logistica tra Nord e Sud; riduzione della quota di finanziamento nazionale sui fondi europei per le regioni del Sud; criteri penalizzanti per il Mezzogiorno nel riparto delle risorse per servizi alle persone (sanità, scuola, ecc); ulteriore rarefazione della presenza industriale delle grandi imprese e soprattutto totale assenza di politiche programmatorie a sostegno del tessuto produttivo e dell’economia. Né giova alla causa a del Sud la dietrologia della lamentela. Infatti, è difficile negare che le condizioni di oggi sono innanzitutto il frutto di una classe politica inadeguata. Quella, di gran lunga migliore, di quarant’anni fa, che ebbe il torto di scegliere la strada comoda della spesa corrente per sostenere l’economia delle nostre Regioni. Quella di oggi, che non è in grado neppure di compiere una qualsiasi scelta, tanto da essere praticamente scomparsa dalla scena nazionale (ad essere cattivi, direi che però è quasi meglio così). Né merita migliore considerazione la cosiddetta classe dirigente meridionale: nel migliore dei casi se ne infischia, tanto che a dare una mano – per davvero e non per “incarico” personale – non ci pensa neppure. E, a mio avviso, la più grave responsabilità del Mezzogiorno verso se stesso sta proprio nel crogiolarsi della propria decadenza e non muovere un dito quando, giorno dopo giorno, si creano le condizioni per nuove difficoltà e nuovi disagi.
Eppure qualcosa si deve fare. Io mi vorrei ispirare a Massimo Troisi: almeno tre cose si possono fare.
Primo: intervenire sulle politiche di gestione della spesa pubblica. Il New Deal rooseveltiano poggiò le sue basi sulla grande scommessa della leva moltiplicatrice della ricchezza rappresentata dalle opere pubbliche. L’era della Merkel rende oltremodo complicato replicare oggi quel fortunato modello (il che, a mio avviso, è un gravissimo errore). Nondimeno, uno Stato capace di fare politiche industriali e dello sviluppo dovrebbe comunque essere in condizione di superare la logica ragioneristica e negoziare con l’Europa una “moratoria”, per 7 anni (esattamente la durata di un ciclo della programmazione europea), per ottenere: la sospensione per le aree del Sud delle regole bizantine di spesa dei fondi europei, del divieto di aiuti di Stato per le aziende e delle regole di accesso al credito; l’autorizzazione allo sforamento dei tetti nazionali e locali per le spese di investimento destinate a queste aree del Paese; la creazione di vere (cioè, con adeguata dotazione finanziaria, non quelle finte degli ultimi anni) zone franche doganali, in corrispondenza dei cinque grandi porti del Sud (Napoli, Salerno, Bari, Gioia Tauro e Palermo).
Secondo: intervenire sul sistema burocratico. Non penso ad una riforma della P.A. (men che mai quella, del tutto inutile, in discussione in Parlamento in questi mesi), ma ad un strumento straordinario. Occorre eliminare la logica del “pedaggio”. Oggi qualunque atto autorizzatorio, in particolare dalle nostre parti, transita per molteplici scrivanie, dietro le quali ci sono seduti signori che esaminano le richieste (quando lo fanno e se lo fanno) con la logica del “nonsipuotismo”. Il loro vero lavoro, cioè, è “scoprire”, nelle pieghe di leggi e regolamenti, le ragioni per le quali quella tale richiesta non si può accogliere o meglio non si potrebbe ma…Intendiamoci, quasi mai pretese illegali: parlerei piuttosto di “certificazione della propria esistenza in vita”, sotto forma di richieste di integrazioni, chiarimenti. Col risultato che ad esempio, per una banale licenza edilizia, da noi occorre quattro volte il tempo che altrove. Sostituiamo allora le autorizzazioni preventive con i controlli successivi, ispirati alla logica del “chi sbaglia, paga”. Uno comunica alla P.A. che cosa intende fare (ovviamente nel rispetto delle leggi) e può farlo. Poi mandiamo per strada le legioni di dipendenti pubblici, impiegandoli a controllare quello che è stato fatto piuttosto che a rallentare quello che cittadini e imprese chiedono di fare. Ci saranno degli abusi e anche degli imbrogli, forse, ma qualcuno può davvero dire che non succede già oggi così?
Terzo: dare vita un patto per il lavoro ispirato all’efficientamento dell’organizzazione del lavoro, attraverso la riscrittura coi sindacati delle regole della contrattazione collettiva (non dei contratti individuali). Il contratto collettivo nazionale deve fornire solo regole generali e cornice, mentre occorre sostenere la contrattazione di prossimità e di rete e accompagnarla con un sistema di incentivi legati non tanto alle nuove assunzioni, quanto piuttosto all’incremento della capacità di produzione.
Infine, un auspicio più che un precetto, stavolta valevole per tutto il Paese (ma al Sud più urgente che altrove): cambiare le regole della rappresentanza. Invece di insistere con quelle sulla incandidabilità (tanto poi va finire come con De Luca e De Magistris), stabilire, per legge, un limite ai mandati elettivi (due, massimo tre) e, soprattutto, imporre un principio: chiunque si candidi a ricoprire qualsiasi ruolo, non può farlo senza indicare prima idee, squadra, progetti e programma. Così, tanto per dare finalmente contenuti a facce sorridenti, roll up a caratteri cubitali e slides luccicanti.
Sono ormai numerosi gli esempi di esponenti della società civile che, per sopperire alle mancanze della classe politica, si fanno carico del malcontento dei cittadini per attirare l’attenzione del governo e dei media.
Da #RomaSonoIo, provocatoria proposta di Alessandro Gassman che invita i suoi concittadini a munirsi di scopa e paletta per spazzare via, almeno un in superfice, il degrado a cui è abbandonata Roma, alla lettera di Roberto Saviano, scritta in seguito ai disarmanti dati del Rapporto Svimez, in cui incita Renzi a prendere provvedimenti che favoriscano la ripresa del Sud, all’appello del Cardinal Sepe, che chiede al governo di non lasciare solo il Mezzogiorno.
Quando gli amministratori si barricano nei palazzi del potere tanto da perdere completamente il contatto con gli amministrati e ignorano i lori problemi nascondendo tutto sotto giganteschi tappeti che hanno la forma di slogan, vacue promesse e rassicurazioni c’è da fermarsi un attimo e ragionare.
I mezzi di informazione, i rapporti, gli studi continuano a inviarci fotografie di un’Italia sempre più sofferente e mal governata. Non lasciamo andare alla deriva il nostro Bel Paese! L’equipaggio è pronto a fare tutto il possibile, manca solo un capitano che prenda saldamente in mano il timone e ci scorti fuori dalla tempesta.
Farà sicuramente piacere ai lavoratori del Formez di Pozzuoli sapere dell’appoggio del consigliere Daniele e della sua intercessione presso il presidente De Luca. Ma Daniele è evidentemente male informato quando dice che la giunta Caldoro non se ne sarebbe interessata, facendo scelte sbagliate.
Non soltanto ci sono atti scritti, a mia firma, che testimoniano il contrario, ma la soluzione che ora propone De Luca è esattamente quella da me avanzata, a nome della Regione Campania, lo scorso mese di maggio. Anzi, io ho anche individuato modalità e strumenti per rendere operativa la collaborazione con l’Ente.
Peraltro, onde evitare altre “appropriazioni indebite”, preciso che il Commissario straordinario del Formez ha già dato disponibilità in tal senso. Si tratta ora soltanto di raccogliere e formalizzare quell’impegno.
Insomma, è sbagliato, a ogni livello, fare demagogia sul lavoro. Specie in una terra come la Campania che ha bisogno di sostenere le imprese e il lavoro di qualità. Come dimostrano le nostre battaglie, da ultimo, su Telespazio, Nuova Sinter, Itron. Tutte vertenze su cui siamo stati lasciati soli coi lavoratori, contro tutti. Ma non per questo abbiamo puntato il dito. Piuttosto, si studino soluzioni per tutte queste vicende, con serietà e competenza. Noi continueremo a vigilare e a fare la nostra parte.
Marcello Lala, 43 anni avvocato napoletano, due lauree, una in giurisprudenza ed un’altra in scienze della comunicazione, da sempre appassionato della politica. E’ da due anni consulente di Confindustria Serbia e dall’anno scorso “Alto Consulente della Repubblica Srspka per la legalità, la lotta alla corruzione ed alle mafie”. E’ stato recentemente citato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel corso della visita nei Balcani, perché la sua nomina è un orgoglio per l’Italia.
Come mai questo incarico, avvocato?
“Da due anni mi adopero per l’internazionalizzazione delle imprese italiane nei Balcani, assieme a Confindustria ed al suo ottimo presidente, l’amico Erich Cossutta. Frequentando la Serbia ho intessuto rapporti con le realtà produttive e quelle politiche del Paese e tra gli altri ho conosciuto Cvijetin Nikic e Cvijetin Simijc, Presidente del partito di maggioranza relativa SNS partito progressista serbo (Srpska Napredna stranka) e Presidente del Parlamento. Sono stati proprio loro a chiedermi di dare una mano ed io volentieri ho accettato, anche perché si tratta di una sfida interessante”.
Una sfida anche rischiosa: la Repubblica Srpska o meglio la Repubblica Serba della Bosnia Herzegovina è da sempre indicata come crocevia di traffici internazionali quali droga e armi.
“Una repubblica cuscinetto, al centro di due Paesi come Bosnia e Serbia, ha sicuramente un ruolo importante per la pace tra l’etnia serba ortodossa e l’etnia musulmana della Bosnia ed è a questo che noi dobbiamo puntare: alla pace ed alla civilizzazione, portando a standard europei questi Paesi, su temi come la legalità e la lotta alla corruzione. Devo dire che gli sforzi fatti stanno portando ottimi risultati soprattutto in Serbia dove c’è una gran voglia di fare e di ammodernare il Paese, grazie anche al grande impegno del premier Vucic. E c’è anche un grande spazio per l’Italia. Noi abbiamo tanto “know how” da esportare e loro sono davvero affamati di sapere e di “fare”: oltre ai tradizionali spazi del “made in Italy”, penso all’ambiente, alla sanità, ai trasporti e alla logistica e soprattutto ai servizi per le imprese. Qui l’Europa non è solo quella delle oligarchie dei burocrati e dei numeri, qui l’Europa è percepita per quello che dovrebbe essere: integrazione, sviluppo e progresso.
Paura?
“Nessuna! Se uno accetta è perché non ha paura di affrontare una sfida così importante e poi io amo il popolo serbo e amo la loro terra. Mi trovo bene con loro negli affari, come nella politica. Bisogna pur dire che il fenomeno, però, esiste eccome . Ricordo un episodio del 2007 quando, a margine di una conferenza a Bijelina, mi si avvicinò un uomo che aveva lavorato per il governo e che aveva denunciato casi di corruzione; in quello stesso anno gli avevano sterminato tutta la famiglia in un attentato. Gli ho detto di rivolgersi al nostro organismo, di entrare in contatto con noi, perché non si sentisse solo perché da una vicenda terribile come la sua si potesse trarre insegnamento per le misure da mettere in campo. Da allora ci sentiamo costantemente e il suo esempio è di monito per tutti”.
E quale è stato il suo primo provvedimento appena si è insediato?
“Ho proposto di pubblicare online tutti gli atti adottati dal governo, ma ancor di più quelli adottati dalle Municipalità, che sono i luoghi dove si annidano i maggiori casi di corruzione. Una politica trasparente è il primo passo per la lotta alla corruzione e al malaffare”.
Risultato?
“Il Parlamento si è subito adeguato, le Municipalità lo stanno facendo gradualmente. Ma piano piano contiamo di portare a casa questo primo risultato in tempi brevissimi. Per il resto il mio lavoro si sta svolgendo nella direzione di creare “protocolli” di comportamento nel rapporto tra imprese e pubblica amministrazione proprio per ridurre gli spazi al “grigio” e alle “interferenze”.
Le manca Napoli?
“Io non andrò mai via da Napoli. Resto fermamente col cuore nella mia città, dove continuerò a fare la mia parte anche impegnandomi in politica, per cercare di cambiare qualcosa pure da noi. Però l’esperienza di Napoli mi è servita tantissimo anche per affermarmi all’estero. Dalle nostre parti si chiama “scuola del marciapiede”. Devo però dire che a Napoli ho avuto grandi maestri che mi hanno insegnato come ci si muove nel mondo della politica e della diplomazia, guardando a quello che avrei potuto fare e non al fatto che fossi figlio di una casalinga e di un vigile urbano. Però una cosa, alla fine, devo dirla nonostante mi secchi molto: forse sono uno di quei napoletani che viene apprezzato di più fuori che in casa propria. Io ho scelto di impegnarmi e di tornare qui: altri se ne vanno per sempre. Chi lo fa non dev’essere chiamato “core ngrato” piuttosto deve essere stimolato a tornare e a restare”.
Nei giorni scorsi una banda di sei giovani è stata assolta dall’accusa di stupro di gruppo di una ragazza di 23 anni perché la vittima non sarebbe attendibile, anche per i suoi “costumi”.
Lei, sconvolta, ha scritto una lettera pubblica e, leggendola, ho pensato: se fosse stata mia figlia al posto suo? Questo solo pensiero è stato sufficiente a non chiudere frettolosamente la questione, passando oltre. Ho scelto di andare un po’ più a fondo, leggendo anche la sentenza, come dovremmo fare tutti. Non spetta a me stabilire se i Giudici hanno deciso bene o male o se, come si dice in gergo giuridico, sia stata raggiunta la prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, della colpevolezza di questi sei ragazzi. Ma ugualmente non mi è piaciuto quello che ho letto. La sentenza è piena di particolari sui gusti, le tendenze, le inclinazioni e i comportamenti di questa ragazza.
Che senso ha descrivere il colore degli slip che la ragazza indossava la sera del fatto? Era proprio necessario tornare e ritornare sugli orientamenti sessuali della vittima? Sfogliando quelle pagine non è difficile intuire il clima di quel processo: se chiudo gli occhi, riesco persino a immaginare il compiaciuto chiedersi se lei ci stesse o meno oppure il far notare che, in fondo, la sera dello stupro lei già lo “aveva fatto” con un ragazzo, e poco prima per giunta!
La verità è che quella sentenza descrive una certa idea dei rapporti tra uomo e donna che ancora circola nel nostro Paese. Ci proclamiamo moderni e affermiamo la parità tra le persone. E, invece, finiamo ancora per distinguere il diritto di vivere serenamente la propria esistenza in base al sesso, alla condizione sociale o alla latitudine geografica. La libertà di comportamento di un giovane ricco, magari del Nord, incontra minori limitazioni di quella di una giovane donna, peggio se povera e di una regione meridionale.
Impregnati di luoghi comuni, questi modi di pensare poi sfociano nei: “se l’è meritata, in fondo”. Magari accompagnati da un rassicurante: “tanto a mia figlia, a mia sorella o a mia moglie non potrebbe mai capitare, perché lei non ‘stuzzica’”.
E invece non è così, perché pregiudizi e preconcetti sono il terreno nel quale cresce la possibilità per il carnefice di sottrarsi alle proprie responsabilità, scaricando la “colpa” sul modo di essere della vittima, qualunque esso sia.
Ecco perché dico di smetterla con la doppia morale e l’ipocrisia. Non dobbiamo mettere in campo chissà quali iniziative per cambiare le cose. È sufficiente cominciare a dire, di fronte a vicende gravissime come queste, e ancor di più rispetto alle mille forme di aggressione che quotidianamente si consumano in danno delle nostre donne: se fosse tua figlia?
La firma dell’intesa tra Governo, Regioni e Whirpool sia un punto di ri-partenza. Noi la nostra parte l’abbiamo fatta e nel momento peggiore. Quando col Presidente Caldoro mettemmo in campo 50 milioni per salvare lo stabilimento di Carinaro.
Mi auguro che la nuova amministrazione regionale non vanifichi il lavoro fatto finora e che si spenda per i nostri lavoratori, per la nostra terra e per rilanciare il sito campano. La Campania non deve essere la soluzione di ripiego del Paese, ma il ‘cervello’ e il punto di snodo di un processo di sviluppo che non può prescindere dal Mezzogiorno e dall’intero Sud.
Un in bocca al lupo ai tanti coraggiosi lavoratori che, in questi anni, non hanno mai mollato la loro giusta battaglia
Utoya. Parigi. Tunisia e oggi Turchia. E se quei ragazzi fossero stati i nostri figli? E se quell’odio fosse più vicino di quanto immaginiamo a casa nostra? Bastano questi episodi a trasformare la nostra indignazione e la nostra rabbia in orgoglio ed azione? Non è comunque la gente, la nostra gente comunque? E non basta forse già la distinzione tra vittime e assassini a marcare una differenza tra “loro” e “noi”? E allora cosa aspettiamo?
Troppe domande, forse. Troppe domande retoriche, direi. Perché mai come oggi mi vengono in mente le parole di Oriana Fallaci. Era il 2001, e il terrorismo aveva sfondato pesantemente le porte dell’occidente ed aveva colpito al cuore gli Stati Uniti.
A due passi dalle torri gemelle sventrate ed in fumo, la Fallaci mise a nudo l’occidente. Nudo ed indifeso, appunto. Da allora assordanti silenzi e troppo “benaltrismo”. Solo perché troppo spesso abbiamo pensato che, tanto, non stava mica accadendo a noi?
E intanto l’occidente ha arretrato sempre di più di fronte a criminali, vecchi e nuovi, da Bin Laden all’Isis, che ad arretrare, per cultura o per religione, non ci hanno mai pensato e non ci pensano proprio! Abbiamo persino messo in discussione la nostra identità, dai crocifissi al presepe nelle scuole, perché abbiamo pensato che i bambini, a quell’età, sono tutti uguali. Mentre noi no, noi nei loro paesi dobbiamo rispettare le loro regole, quando ci va bene e non ci lasciamo la vita. E non solo, non basta.
Adesso anche nei nostri paesi. Si muore in spiaggia, si muore per strada, si muore in un museo, o banalmente nel proprio ufficio. Muore la gente, muoiono i ragazzi, e con essi muoiono la nostra dignità e la nostra identità. Questo è il fanatismo che dobbiamo attaccare e a cui dobbiamo smettere di replicare con buonismo pseudo intellettuale e con fiumi di ipocrisia.
Nessun allarmismo, ma la Turchia è davvero a due passi dalle nostre città. La Turchia siamo noi, quei ragazzi siamo noi e i nostri figli. Quel selfie siamo noi. E all’improvviso non ci siamo più. Se non facciamo così, rischiamo di perdere contro il terrore nero che viene dal passato e che oggi chiamiamo Isis. Questa è la sfida della rabbia e dell’orgoglio: il nostro bene contro il loro male!
L’intervista di oggi sul Corriere della Sera del procuratore della Repubblica di Palermo, Francesco Lo Voi, rappresenta, almeno per me, una straordinaria e positiva lezione a questo Paese e a tutti quelli che si interessano, a vanvera, dei rapporti tra politica e magistratura.
Il procuratore, con chiarezza, ha detto che la politica, in questa Italia così mediocre, cerca nella magistratura, in positivo e in negativo, una giustificazione per le proprie azioni. Ed è la verità. Fateci caso: in Campania, Vincenzo De Luca, un condannato e plurindagato, si vuole candidare a tutti i costi e, nonostante evidenti ragioni (se non altro) di inopportunità, nessuno lo ferma. Salvo poi affidare ai giudici la soluzione tecnica che gli consenta di governare, peraltro in attesa della decisione (di altri giudici) sulla costituzionalità della “legge Severino”.
In Sicilia, Lucia Borsellino, figlia dell’indimenticato Paolo, si dimette da assessore regionale alla sanità per contrasti sulla “gestione” della materia con il presidente Crocetta e, per venti giorni, nessuno si chiede perché (lo stesso procuratore ha detto: “dimissioni trattate come polvere infilata sotto il tappeto”). Poi, “esce fuori” che ci sono intercettazioni (e qui poco importa quali esse siano) di presunti contrasti tra i due e, per questa stessa ragione, si chiedono le dimissioni a Crocetta (che sino a qualche giorno prima veniva peraltro considerato pure un campione dell’antimafia).
Ancora. Maurizio Lupi, senza essere neppure indagato, nei mesi scorsi viene citato in alcune intercettazioni telefoniche relative ad un’inchiesta su appalti all’Expo di Milano e, per ragioni di opportunità, invitato a dimettersi, mentre, per molti altri parlamentari e membri del Governo, persino indagini avanzatissime sono insufficienti a far avanzare la medesima richiesta.
Insomma, la magistratura e i suoi provvedimenti sono diventati un alibi e uno strumento di lotta politica. A che prezzo? Lo svilimento delle Istituzioni, il crollo della fiducia dei cittadini in chi amministra la cosa pubblica e, soprattutto, la totale precarietà dell’azione istituzionale. Infatti, di fronte a questo stato di cose, è evidente che chiunque ricopra un ruolo pubblico è esposto al rischio di essere travolto al primo stormire di foglie giudiziarie.
Sarà solo la convenienza del momento a decretarne poi la morte o la sopravvivenza, politica s’intende. Ma questo varrà per il destino del singolo, non certo per le Istituzioni. Infatti, i cittadini non hanno più il tempo (e ancor di più la voglia) di verificare chi è il destinatario di un’indagine o di un avviso di garanzia. Per esempio cosa ha fatto nella vita, se è una persona che ha un lavoro da cui viene, e un lavoro a cui tornare terminata la stagione politica. Insomma, distinguere, caso per caso, come si fa nella vita “normale”.
Invece no. Tutti colpevoli. A prescindere. E poi alcuni salvati, se conviene al potere. Naturalmente, tutto questo giova proprio agli affaristi, ai corrotti, ai mediocri e ai trafficoni della politica, privi di contenuti e che non hanno nulla da perdere, dignità compresa. Questi signori giocano la loro partita e, per uno che cade, altri ce la fanno a continuare i loro “affari”.
In fondo, se la magistratura li arresta – e quel giudizio è irrevocabile indipendentemente dagli esiti dell’inchiesta di turno – potranno sempre raccontare di essere anche loro vittima di un errore giudiziario. Tanto nessuno si preoccuperà di controllare se è vero o no. Insomma, povera Italia, povera politica e viva le persone serie e coraggiose come Lo Voi.
Si comunica il rinvio, a data da destinarsi, del Convegno “L’industria (non) passa per il Sud” organizzato dall’Associazione Insieme per oggi pomeriggio, 20 luglio, alle ore 17,30 presso il Teatro Galilei di Città della Scienza a causa della scomparsa del padre del presidente dell’Associazione, Severino Nappi.
In questo giorno di venti tre anni fa si è scritta una delle pagine più nere della storia del nostro paese con la barbara uccisione di Paolo Borsellino nella strage di via D’Amelio per mano della mafia. Insieme al magistrato persero la vita i cinque agenti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Ad anni di distanza la domanda che molti si pongono è se la loro morte sia servita effettivamente a qualcosa. I fatti recenti che si leggono quotidianamente sui giornali o si vedono alla televisione farebbero pensare di no. Che la mafia, anzi le mafie abbiano preso il sopravvento, abbiano vinto.
Io invece credo che le loro vite, donate al nostro paese, siano servite a molto. Sono servite d’esempio a milioni di italiani che in questi anni hanno deciso di dare una forte sterzata alla loro vita, imboccando la strada della legalità. Tante persone hanno capito che la via intrapresa da uomini come Borsellino, la possiamo intraprendere tutti, nel nostro piccolo, nella nostra vita quotidiana.
Molte le associazioni, gli esempi personali che in questi anni hanno detto un bel NO alla mafia. Tanti hanno seguito le parole di questo personaggio che come bene affermava ‘è normale che esista la paura, in ogni uomo, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, altrimenti diventa un ostacolo che impedisce di andare avanti’.
E grazie al suo coraggioso esempio, tanti uomini e donne hanno trovato la forza di ribellarsi a questo cancro che è la mafia, hanno provato nel quotidiano a fermarla. Non voglio dire che questo male che ci affligge sia stato sconfitto, purtroppo esempi di criminalità a stampo mafioso sono all’ordine del giorno in tutta la penisola. Ma sono sicuro che da quel 19 luglio 1992 tanto sia cambiato nella percezione che noi abbiamo delle mafie, tanta strada è stata fatta e seguendo l’esempio di Paolo Borsellino, tanta strada possiamo ancora fare.
L’Italia e una buona parte degli italiani vivono l’immigrazione come un problema. Dal Veneto a Roma dilagano messaggi verso le tante persone che giungono dal nord Africa, affrontando viaggi della morte, per raggiungere un sogno che vuol dire speranza di una vita migliore. Nel nostro paese la memoria è veramente corta. Come ben espresso dalla scritta apposta sul Palazzo delle Civiltà di Roma, gli italiani sono un popolo sì di “poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori e di scienziati”, ma anche e soprattutto di “navigatori e di trasmigratori”.
Lo siamo sempre stati e fa parte del nostro dna. Nella prima parte del secolo scorso furono ben 25 milioni, gli italiani che lasciarono lo stivale per avventurarsi verso i paesi più industrializzati dell’Europa e verso le Americhe. Ancora oggi siamo protagonisti di quella che viene definita la ‘nuova immigrazione’, e anche se rispetto ai nostri nonni e bisnonni che partivano con le valigie di cartone legate con uno spago alla ricerca di una fortuna che la povertà italiana di quei tempi non offriva, la trasmigrazione odierna non è poi tanto dissimile negli intenti: la ricerca di maggiori possibilità che l’Italia, purtroppo, non sempre offre.
A partire e lasciare il nostro paese sono oggi i nostri giovani, che prendono un aereo per cercare un’opportunità lavorativa all’estero. Londra e Parigi sono piene di connazionali che si presentano con la speranza di un impiego che qui da noi non riescono a trovare. I nostri giovani, i nostri talenti lasciano l’Italia e portano la loro formazione e le loro doti all’estero, provando un doppio dolore: sentimentale per la lontananza dai propri affetti e sociale perché andandosene provano sfiducia verso il paese d’origine.
E il nostro dovere, istituzionale e sociale, è duplice in questo contesto storico: da una parte creare le occasioni che permettano ai nostri ragazzi di non partire o quanto meno di ritornare, per non regalare un bagaglio culturale e d’istruzione acquisito nel nostro paese e donato all’estero; dall’altra aiutare queste migliaia di persone che giungono sulle nostre coste, perché, al di là dei nomi che gli affibbiano, sono: persone come noi.
Detto questo occorre che la burocrazia faccia il proprio dovere: si distinguano, in pochi giorni e non in mesi o anni, i profughi che hanno diritto di rimanere, dai clandestini che non lo hanno. Dietro la tensione di questi giorni c’è anche questo!
Leggo dai giornali che, per la sua difesa personale in giudizio, De Luca avrebbe schierato innanzi al Tribunale di Napoli, oltre ai suoi legali, sia quelli della Regione Campania sia quelli del Consiglio regionale. La circostanza mi fa sorridere.
Non certo per il danno erariale che probabilmente gli verrà chiesto di pagare dalla Corte dei Conti, né per l’ineleganza del gesto o persino per l’inutile sovrabbondanza di giuristi (peraltro i suoi sono anche bravissimi), quanto per il fatto che a pagare tutti questi “extra avvocati” sono i cittadini.
Ma come – mi dico – il parsimonioso De Luca che, proprio l’altro giorno, menava vanto della sua azione risparmiatrice (per gli altri), non lesina poi di spendere i nostri soldi per se? Mica ci troviamo di fronte alla consueta doppia morale di una certa politica?
A proposito,ora che ci penso, mi viene in mente un altro signore che ha fatto la stessa cosa: si chiama Luigi De Magistris, anche lui difeso personalmente in giudizio coi soldi pubblici. Sarà un caso, ovviamente.
L’industria (non) passa per il sud. Questo il confronto promosso dall’Associazione Insieme, che presiedo, sulle politiche economiche ed industriali nel mezzogiorno, con uno sguardo rivolto al Paese e anche all’Europa che si terrà lunedì 20, alle 17.30 a Città della Scienza, Teatro Galilei.
Il confronto sarà introdotto dall’Economista e autore del rapporto Met sull’Industria italiana 2015, prof. Raffaele Brancati. E con me ne discuteranno i deputati Fabrizio Cicchitto di Ncd e Renata Polverini di Forza Italia e l’europarlamentare del Pd, Andrea Cozzolino. Modererà i lavori Giulio Di Donato, direttore de “Il Velino”. Questo sarà il primo di una serie di forum che l’Associazione Insieme intende promuovere sui principali temi che toccano Napoli e la Campania.
Il Ministro Orlando prima e il parlamento poi, non perdano l’occasione per dare un’opportunità di lavoro ai giovani. In questi giorni è in discussione in Commissione Giustizia, il ddl 83 all’interno del quale si tocca il tema dei 2650 Precari del sistema giudiziario.
Ma i paletti che si prevedono nella norma, non consentirebbero l’accesso ai giovani che hanno già svolto tirocinio presso le amministrazioni giudiziarie, in favore di soggetti in età più avanzata e sicuramente con meno competenze. I Precari, che in Campania ho più volte sostenuto, anche favorendo il loro accesso al programma Garanzia Giovani, lo hanno chiamato ‘Ufficio del Processo Ingiusto’, per me si tratta di un ulteriore ostacolo che i giovani devono affrontare per entrare nel mondo del lavoro.
E di questo, un parlamento e un governo che annunciano quotidianamente di essere dalla parte dei giovani, non possono non tenerne conto! Questi giovani hanno titolo, esperienza, formazione ed hanno già avuto modo di confrontarsi con il sistema giudiziario. Perché precludere loro una strada, mettendoli fuori gioco ancor prima di iniziare? Per accedere ai concorsi pubblici si lascino criteri oggettivi, nazionali, equi, giusti. E poi, che vinca il migliore!
La vicenda della Conateco e dei suoi lavoratori non si può affrontare con logiche burocratiche. Indipendentemente da ogni accertamento e verifica gestionale, legittimo e sempre doveroso, ritengo che revocare la concessione alla società che movimenta oltre il 90% dei container del porto di Napoli – e quindi muove un pezzo significativo dell’economia regionale – sia pericoloso, specie in assenza di un piano di interventi strutturato e organizzato.
La Regione dovrebbe immediatamente intervenire per ospitare un tavolo finalizzato, nel tempo occorrente a individuare soluzioni di sistema, a garantire la prosecuzione dell’attività d’impresa e con essa la salvaguardia dei circa 500 lavoratori che, tra diretti e indiretti, vi operano.
Bisognerebbe insediare un organismo informale misto – composto da Autorità portuale, società, parti sociali e Prefettura di Napoli, col coordinamento della Regione – che, nel monitorare il rientro dell’esposizione debitoria e la normalizzazione della situazione, consenta la normale prosecuzione delle attività e lanci un segnale di serenità anche al sistema armatoriale sul funzionamento del nostro porto, così come abbiamo sempre fatto in questi anni per vicende simili che ci hanno consentito di salvare tante realtà fondamentali per l’economia del nostro territorio. Non è tagliando e chiudendo stabilimenti che si fa ripartire la Campania e tutto il Sud.
Molti titoli di giornali ci dicono che a Napoli si muore ammazzati in questo periodo. Soprattutto giovani aspiranti boss che credono nella scorciatoia: la strada per il successo, secondo loro, passa per la criminalità. E invece trovano la via dei lutti, delle lacrime, del sangue e del dolore o, se gli va bene, quella della galera.
Per una volta però mettiamo al bando analisi sociologiche e ricerche sulle colpe della società matrigna. Certo, queste ci sono, ma non diamo alibi, perché gli alibi non servono e non aiutano nemmeno. Sono tanti i giovani soli e senza guida che scelgono il bene, che cercano un lavoro onesto, che sanno che la fatica non porterà ricchezze facili, ma non per questo mollano. I quartieri poveri di Napoli, le tante periferie della mia città sono piene di esempi da ammirare, della prova che, per uno che sbaglia, ci sono mille e più che credono, seriamente, nella legalità e nell’onestà. Non giovani illusi, ma anzi consapevoli dei mali e delle difficoltà che sono destinati ad incontrare, a volte persino troppo.
Ma non per questo i nostri giovani smettono di impegnarsi nella ricerca di un lavoro onesto. E, quando lo trovano, mica si lamentano che quel pane è duro e costa molta fatica. Ho davanti agli occhi i volti di tanti di loro. Uno lo chiamo il mio cinese: un ragazzo che, con un modesto prestito d’onore, ha aperto una piccola cioccolatiera in una strada del Vomero e lavora notte e giorno per farla andare avanti. Oppure quel giovanotto che ha lasciato la manovalanza del crimine perché la sua bella aveva paura e ora fa il muratore, oltretutto non sempre. Eppure è contento, perché “Maria sta tranquilla” e forse l’anno prossimo si sposano pure. O, ancora, il giovane padre che di mestiere fa il garagista notturno in un’isola chic del nostro golfo e torna a casa ogni tre-quattro giorni. Sbuffa, s’arrabbia, protesta perché i turni sono faticosi e lui sta per troppo tempo lontano dalla moglie e dal figlio, ma ormai ha scelto il bene e di tornare per strada non ci pensa più.
Ecco: io sto con loro. In questi anni ho lavorato per loro e continuerò a farlo. Ma, per una volta almeno, vorrei pure che i titoli sui giovani i giornali scegliessero di dedicarli anche – e soprattutto – a questi eroi della banalità del bene. Sapete, come si fa in certe catene americane che espongono la foto dell’impiegato del mese. Un modo per dire loro grazie. perché la nostra società è migliore anche per merito loro e perché Napoli è soprattutto questo!
Il genocidio di Srebrenica è forse la più grave ferita ancora aperta in Europa nel periodo del post Guerra Fredda, durante il tremendo conflitto in Bosnia ed Erzegovina.
Un territorio, peraltro sotto protezione internazionale, dilaniato da un massacro ancora oggi dai tratti nebulosi e dalle multiple responsabilità, accertate solo in parte.
In quell’occasione l’umanità ha mostrato il suo volto più bestiale e disumano. Più di 8.000 uomini, adulti e bambini, separati con la forza dalle donne, prelevati dalle proprie case, barbaramente torturati, uccisi e sepolti in fosse comuni, con l’unica colpa di essere bosniaci musulmani.
Rammarica il fatto che solo pochi giorni fa la comunità internazionale abbia fallito nel tentativo di riconoscere ufficialmente i fatti di Srebrenica come vero e proprio genocidio, a causa di un ambiguo veto da parte della Russia.
Credo non si debba aver paura di dare giusta definizione agli eventi. L’evoluzione passa per il riconoscimento e la presa di coscienza degli errori commessi, soprattutto da parte di chi aveva la responsabilità di proteggere quelle vite umane.
La comprensione, unitamente all’ammissione di ciò che non ha funzionato, sono la strada maestra per far sì che atrocità di questo genere non accadano mai più. Sono ancora presenti e forti, anche in Europa, gli scontri e gli attriti basati sulla diversità etnico-religiosa, e per questo è importante riaffermare, soprattutto oggi, che il male non ha nome, religione o etnia, non ha Stato e non ha padrone.
Parafrasando Hannah Arendt, si diffonde come un fungo sulla superficie, non radicandosi mai. Ed è proprio questa la sua banalità.
Se per un genitore ogni scarrafone è bello a mamma sua, per lo Stato ciò non vale più per quel che riguarda le università. Lo dice un emendamento alla legge delega sulla Pubblica amministrazione, nato su proposta del deputato pd Marco Meloni. Una proposta, francamente sconcertante, che prevede una valutazione diversa del voto di laurea nell’accesso ai concorsi pubblici in base all’università di provenienza.
Manco a dirlo, nell’elenco presentato non ci sono Università del Sud! A questa proposta, per essere indecente, manca soltanto che s’introduca anche una discriminazione per reddito e provenienza geografica degli studenti.
Invece di premiare solo il merito, come si dovrebbe, ci si esercita in forme discriminatorie, oltretutto sempre in danno del sud!
Considerato che parliamo di Università, mi permetto anche di dare un voto all’emendamento: bocciato!
Quando bruciò Città della Scienza, mettemmo in sicurezza i lavoratori già il giorno dopo con la cassa in deroga, senza neanche pensare a violare la legge. Questo mi è venuto in mente oggi quando De Luca ha detto che per fare presto a ricostruirla, accetterebbe un nuovo avviso di garanzia, firmando qualsiasi cosa.
Far passare il messaggio che l’asfissiante burocrazia di questo paese si combatta a colpi d’illegalità è pericoloso. Bisogna sicuramente fare le cose presto e bene ma rispettando sempre e comunque la legge. Altrimenti, di strappo in strappo, che differenza fa tra lo stare dalla parte delle istituzioni o dall’altra?
Piuttosto, indipendentemente dall’impegno degli amministratori, mi permetto di ricordare che i veri protagonisti della rinascita di ‘Città della Scienza’ sono Vittorio Silvestrini, Enzo Lipardi e tutti i lavoratori che in questo tempo non hanno smesso un solo giorno di metterci l’anima.
Telespazio, controllata Finmeccanica, nei mesi scorsi aveva assunto l’impegno di mantenere aperta la sede campana: questo straordinario risultato è stato il frutto anche dello sforzo corale messo in campo dall’Amministrazione regionale, dai sindacati, dalle Università campane, dal Cira e dall’Asi, che avevano congiuntamente individuato la disponibilità del Cira ad ospitarla e a sviluppare programmi unitari allo scopo di preservare lo straordinario patrimonio di competenze nel campo della ricerca e dello sviluppo al servizio delle imprese dell’aereospazio rappresentato dai lavoratori della sede campana di Telespazio.
Al contempo, Telespazio, anche in sede sindacale, aveva garantito che il trasferimento dei lavoratori presso la sede di Roma sarebbe avvenuto esclusivamente su base volontaria. Invece, negli ultimi giorni, i lavoratori hanno individualmente ricevuto una comunicazione dalla società che trasforma la volontarietà in obbligo e riconduce nuovamente la sede campana in mero presidio, con pochissime unità al servizio di un singolo progetto, peraltro già finanziato dalla Regione, riservando la possibilità di svolgere ulteriori funzioni sul territorio campano alla mera ipotesi di non meglio precisate future attività.
Questa decisione, del tutto unilaterale, tradisce lo spirito col quale si è lavorato per molti mesi, pone in difficoltà i lavoratori, mette in discussione il futuro in Campania di un settore strategico per la nostra economia. Chiediamo perciò a Telespazio non soltanto di modificare questa decisione e di mantenere la disponibilità concordata, ma soprattutto di assegnare altre missioni alla nuova sede campana, anche alla luce delle sinergie di altissima qualità che si è riusciti a mettere in piedi grazie alla rete regionale.
La storia dell’aerospazio in questo Paese è stata scritta in molta parte qui in Campania ed è un controsenso, oltre che un danno per l’economia italiana, disperdere valori e potenzialità – in particolare da parte di una controllata pubblica – proprio nel momento nel quale il Governo nazionale afferma di volersi impegnare maggiormente per la Campania e per il Sud.
Oggi l’Europa – e non solo – trattiene il respiro. Cosa sceglieranno i greci col referendum sull’accordo con l’Unione Europea? I giornali e le tv sono pieni di scenari e di analisi, quasi tutti ispirati al peggio, e a previsioni a fosche tinte sul futuro di quel popolo.
Non mi voglio iscrivere al dibattito diviso tra coloro che pensano che il sì al referendum sia l’anticamera per la dissoluzione dell’euro, cui dovrebbe seguire lo sfascio dell’economia dei nostri Paesi, e quelli che descrivono la giornata di oggi come l’occasione per dare un calcio, senza rischi, ai banchieri e ai poteri forti.
Ma qualcosa sento di dirla: gli equilibri economici e finanziari della Grecia sono davvero fragilissimi e l’economia di quel Paese è realmente appesa ad un filo. Le banche che restano chiuse e le imprese che mettono in vacanza i propri dipendenti per non pagare gli stipendi o perché non sanno che succederà a partire da lunedì non sono certo un segnale positivo. L’autodeterminazione di un popolo non si può consumare solo in uno sfogo di pancia contro tecnocrati ottusi e cinici, se non altro perché dopo la sbornia di una soddisfazione restano i fatti, e qui i fatti sono tanti e pesanti.
Del resto, ho ancora negli occhi le immagini di certi personaggi pubblici che pochi mesi fa festeggiavano Tsipras come il liberatore di un popolo e il leader di un paese fratello e oggi si scansano perché hanno visto in casa d’altri quello che potrebbe accadere pure altrove: gli slogan da soli non bastano e, accanto all’improvvisazione e all’estro, ci vuole anche competenza, solidità di proposte e visione strategica.
Però, al tempo stesso e (permettetemi), forse ancor di più, mi chiedo come si possa restare indifferenti di fronte al dramma quotidiano che, ormai da alcuni anni, si consuma in molte milioni di famiglie della Grecia e d’Europa. La possibilità o meno di mettere il piatto a tavola non è un argomento che si possa liquidare con raffinate analisi o concetti astratti: è la differenza tra la serenità (almeno dell’oggi) e la disperazione.
E a chi è disperato non puoi dire, con aria seccata, che i conti sono cose serie e da persone istruite e che chi protesta la smettesse di disturbare il manovratore. Bisogna avere il coraggio di dire la verità: le ricette di questi anni non hanno fatto ripartire l’economia e i tagli, orizzontali e orientati al basso, non bastano e non possono bastare.
Quello che di certo è accaduto è che tanti stanno peggio di ieri e non c’è controprova che starebbero ancora peggio se le draconiane misure di taglio dei servizi e di trasferimenti alle amministrazioni locali non fossero state messe in campo con metodica pervicacia dalle Istituzioni europee e di conseguenza dai governi nazionali.
Continuare lungo quella strada non è accettabile, indipendentemente dalla vicenda di Atene. La strada delle riforme può condurre ad una ripresa se è quella delle riforme fatte per davvero e con qualità, innanzitutto dialogando e spiegando il perché delle scelte, e accettando suggerimenti e proposte.
I territori ripartono se offri alle imprese e ai cittadini una prospettiva reale, non se metti le mani in tasca alle persone e magari con quello che trovi paghi la sterile conservazione dell’assetto degli interessi piccoli e grandi di ogni Paese. Non so come andrà a finire domani in Grecia, però so quello che vorrei: la consapevolezza, negli organi di governo dell’Ue e dei singoli Stati, che “popolo sovrano” non è uno slogan scolorito o patrimonio degli estremisti e degli sterili protestatori.
Ma rappresenta il faro dell’azione politica cui sono chiamati ad ispirare la propria azione tutti quelli che hanno responsabilità pubbliche. Un solo esempio. Non credo proprio che la crisi di questi anni sia peggiore di quella che visse l’Europa e il Mondo all’indomani della fine della seconda guerra mondiale. Eppure una classe dirigente che aveva visione e strategia, non solo tattica e mezzucci, seppe traghettare un popolo ferito verso una stagione felice e laboriosa.
Quegli uomini – e per me vale su tutti l’esempio di Alcide De Gasperi – si assunsero responsabilità, dissero dei si e molti no, spiegarono al Paese dove lo volevano condurre, rivendicarono con coraggio e orgoglio anche la dignità nazionale e fecero. Soprattutto fecero, assumendosi la responsabilità delle loro scelte. Ecco, di questo c’è bisogno e con questo metro si inizi a misurare l’azione politica. Quanto ai greci, resto convinto che il loro destino è il nostro destino. Da lunedì, comunque vada, cambia l’approccio: al tavolo del nostro destino, accanto ai tecnocrati, siede il popolo sovrano.
In una calda serata d’estate, se non hai in programma di “spaccare il mondo”, cosa c’è di meglio di un film, magari all’aperto, magari con due vecchi amici, quelli che non vedi mai, ma che ci sono sempre? Ieri sera ho colto l’occasione per rivedere un grande film di Paolo Sorrentino. E non me ne sono pentito.
Molti hanno visto ne “La grande bellezza” un’ideale prosecuzione della dolce vita di Fellini: stessa città, stessi luoghi, stesse visioni oniriche, il moltiplicarsi di finali. Forse potrebbe essere proprio questa la ragione del successo internazionale che ha avuto il film di Sorrentino.
Del resto, se fossi uno straniero lo penserei probabilmente anch’io. Invece come italiano vedo nel film la scelta di descrivere non i luoghi o le atmosfere di una città, ma il malessere della nostra società. Il vuoto che pervade spesso certe corse al successo, il tradimento dei valori umani, la finta celebrazione dell’io che nasconde l’insicurezza, la paura del domani e l’incapacità di dare un senso all’esistenza attraverso il donare se stessi, agli amici agli altri, all’amore.
Una società arida, e per questo descritta con colori cupi, dalla quale non ti aspetti più nulla, anche perché non ci investì nulla di quello che hai davvero dentro. Però, nel riscoprirsi del protagonista del finale, c’è la speranza e lo spazio di una prospettiva.
Non uno scontato finale felice, ma l’invito ad acquisire consapevolezza che la vita vale molto di più se non si riduce ad un vortice di apparenze. Una grande prova di Sorrentino, regista moderno e visionario, ma anche l’occasione per riflettere sulle cose da fare per dare un senso alla nostra stagione.
Ricordate Roberto Baggio ai mondiali di Usa ’94 che calcia il rigore alle stelle? Roberto Baggio lo ricorda bene e rimpiange di non aver tirato con precisione quel penalty, simbolo della sconfitta italiana ai campionato del mondo contro il Brasile. Il rimpianto è quello di non aver avuto un ruolo decisivo nella storia del nostro Paese.
Oggi, se mi permettete un paragone un po’ azzardato, a sbagliare quel calcio di rigore è stata la politica. Il caso De Luca in Campania aveva dato la possibilità al mondo politico di tirare il penalty decisivo, il rigore che gli avrebbe concesso la possibilità di iniziare a riappropriarsi di un ruolo, quello di saper riconoscere l’inadeguatezza di una persona nel ricoprire un incarico delicato, a tratti difficoltoso, come quello di guidare una Regione, senza lasciare che fosse un giudice a farlo.
Invece alla politica sono tremate le gambe, la porta è sembrata piccola piccola ed il portiere, che nell’occasione aveva la faccia di Vincenzo De Luca, estremo difensore dell’illegalità e della sfrontatezza, è apparso imbattibile. Le Istituzioni hanno deciso di non presentarsi sul dischetto del rigore. Hanno preso il pallone e lo hanno dato alla magistratura. Un giudice ha calciato la sfera debolmente ed il portiere l’ha facilmente deviata.
Questa situazione lascia un rimpianto grande, indipendentemente da come finiranno nei prossimi mesi i mille guai giudiziari di De Luca : il rammarico per una politica incapace di prendere la decisione giusta al momento giusto. La politica ha semplicemente evitato di affrontare la questione: come si dice in questi casi, non si è presa la responsabilità…
Come diceva De Gregori “il giocatore si vede dal coraggio, dall’altruismo, dalla fantasia…. “. Tutte doti che anche in quest’occasione, l’ennesima, la nostra politica ha dimostrato di non possedere, con tanti saluti al rispetto delle leggi dello Stato e dei cittadini.